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Al PAN il teatro racconta l’arte e la personalità di Artemisia Gentileschi

by Claudia Esposito

Con Artemisia si è conclusa la rassegna Vissi d’arte del PAN di Napoli, che ha goduto di un incredibile e forse inaspettato successo: tutto esaurito per ogni spettacolo, fino alla serata di chiusura che ha esplorato vita, arte e fantasmi di Artemisia Gentileschi, una delle figure più affascinanti del mondo della pittura.

La talentuosa Titti Nuzzolese ha dato voce all’angoscia e alle insicurezze della Gentileschi, qui alla fine della sua esistenza e sottoposta ad un interrogatorio che la costringe a raccontare momenti che con tutta l’anima ha provato a dimenticare e a rivivere un dolore che ha invano tentato di esorcizzare con l’aiuto dell’arte.

artemisiaArtemisia è uno spettacolo che gioca sui diversi livelli della coscienza, dei protagonisti e del pubblico, in quanto la rappresentazione del dramma della pittrice si articola su tre piani narrativi: il primo, che immediatamente viene messo sotto gli occhi del pubblico, è quello dell’interrogatorio. A casa di Artemisia Gentileschi, ormai rimasta sola, abbandonata dal marito e con una figlia sposata e lontana da casa, si presenta un magistrato che dice di voler approfondire i dettagli dello stupro subito da Artemisia molti anni prima da parte di Agostino Tassi, pittore e amico del padre della donna. Il secondo piano narrativo è quello caratterizzato dai ricordi di Artemisia: quando è costretta a raccontare ciò che le è successo è inevitabilmente costretta anche ad immergersi senza via d’uscita nelle sue paure più grandi, nei ricordi mai rimossi, in un dolore a malapena assopito. Il regista Mirko Di Martino ha scelto di sottolineare questa alternanza di piani narrativi tramite un semplice cambio del colore della luce: la scena minimal e l’utilizzo per tutta la durata dello spettacolo di soli due attori potrebbero infatti sembrare una limitazione, ma la scelta è vincente, perché si ha immediatamente la sensazione di una situazione paradossale, straniante, dominata dall’inconscio della pittrice. Il terzo piano narrativo, infine, prevede un ulteriore cambio di luci e la recitazione dei passi biblici da cui Artemisia avrebbe preso ispirazione per i suoi quadri. Di fronte alla narrazione accorata del convincente Antonio D’Avino, è impossibile lasciarsi sfuggire le differenze tra i passi biblici e la rappresentazione di Artemisia Gentileschi: l’inconscio sembra farla da padrone nell’interpretazione di alcuni dei più famosi dipinti dell’artista.

artemisia gentileschi al panCosì quando il magistrato arriva in casa della donna i servitori sembrano essere spariti nel nulla e Artemisia non riesce nemmeno a ricordare il nome di sua figlia. Immediatamente lo spettatore è invitato a riflettere sulla stranezza della situazione, a leggere gli indizi di un interrogatorio che più che ufficiale sembra essere una vera e propria presa di coscienza da parte della pittrice, un doloroso esame della propria vita e dei propri fantasmi. Artemisia dovrà rispondere del genere pittorico che ha scelto, delle sue donne “discinte” e provocanti, dovrà fare i conti con la figura del padre, minacciosa, autoritaria, vincente sotto ogni punto di vista, superiore nell’arte e nel carattere. Ma, soprattutto, è costretta a rivivere lo stupro, narrato con una violenza e un attenzione ai dettagli che fa venire i brividi al pubblico in sala. Artemisia è stata ingannata, violata nella sua innocenza di diciassettenne desiderosa di conoscere il mondo, frenata da un padre ossessivo e maledetta da un talento che non le permetterà mai di dimenticare ciò che ha vissuto.

artemisia gentileschi al panIl primo quadro analizzato, ‘Susanna e i Vecchioni’, raffigura una giovanissima Susanna terrorizzata, pura, schiacciata sotto il peso dei due uomini che la ricattano, realistica e viva nel suo corpo di donna vera. Ma, soprattutto, il giudice/padre, che non rappresenta null’altro che la voce interiore della coscienza di Artemisia, fa notare alla pittrice ormai sopraffatta dalle emozioni come ci siano delle imprecisioni, delle incoerenze. Non dovrebbero essere due vecchi alle spalle di Susanna? E perché uno dei due è un giovane bruno e forte, proprio come era stato a suo tempo Agostino Tassi?

Susanna e i vecchioni ArtemisiaL’incubo dello stupro, dei ricatti successivi, della speranza di essere almeno sposata dal suo aguzzino e la delusione nello scoprire che questo non sarebbe mai avvenuto, culminano nelle due scene di vendetta rabbiosa che la pittrice ha scelto di ritrarre e che il regista ha simbolicamente messo sulla scena, così come aveva fatto per ‘Susanna e i Vecchi’. Nel famosissimo ‘Giuditta che decapita Oloferne‘ Artemisia rivive la sua umiliazione e la sua rabbia: la pittrice racconta di aver cercato di pugnalare Tassi dopo lo stupro e di non esserci riuscita. La sua Giuditta, invece, riesce a sgozzare con violenza la “belva” che Dio stesso aveva voluto punire. Ma anche in questo dipinto si ritrova un dettaglio che non corrisponde alla narrazione della Bibbia: la serva di Giuditta non resta ai margini della scena, come del resto aveva dipinto anche Caravaggio, modello d’eccellenza. Nel dipinto della Gentileschi la serva aiuta a tenere fermo il guerriero, mentre Giuditta compie l’omicidio.

artemisiaFa accapponare la pelle sentire la voce di Artemisia recitare “Una donna sa che non avrebbe potuto farcela da sola a schiacciare un uomo così forte. Una donna sa che c’era bisogno di un aiuto, di due donne almeno per riuscire a tenerlo fermo e ad uccidere”. Aiuto che la Gentileschi non ebbe mai, perché la sua domestica, al contrario della serva di Giuditta, si rese complice dello stupro. E in sottofondo la voce del giudice, che poi è il padre di Artemisia, ma allo stesso tempo è lei stessa, ricorda che la pittrice dipinge sempre la violenza subita, il suo dolore, il suo corpo “da puttana”, la sua vendetta mai consumata che da sola potrebbe concedere un po’ di riposo. Vendetta che esplode nella violenza del dipinto ‘Giaele e Sisara‘ con Giaele che conficca un picchetto nella tempia di Sisara. La vendetta di Dio ancora una volta si compie per mano di una donna.

artemisiaE a quel punto è chiaro, al pubblico e ad Artemisia, che questo nuovo processo, l’interrogatorio che la sta tormentando, è stato richiesto da lei stessa prima di morire.

Artemisia Gentileschi non ha mai avuto scelta, in quanto donna, se non quella di accettare ciò che le è successo. L’arte l’ha aiutata? L’illusione della gloria l’ha salvata o l’ha condannata a rivivere in eterno quello che le è accaduto?

L’ultimo capolavoro, quello mai realizzato, che resta inespresso, è una tela che la pittrice sceglie di firmare, bianca, finalmente, senza dolore, senza ricordi. Una tela che le concede il meritato riposo e le permette di essere, semplicemente, Artemisia.

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