Home AuthorAngelo Capasso HOW I MET COMICS – La mia Golden Age

HOW I MET COMICS – La mia Golden Age

by Angelo Capasso

Come Zio Paperone conserva con amore in una teca il suo primo decino guadagnato, simbolo di quello che sarebbe diventata la sua fortuna, anche io custodisco con affetto i primi albi a fumetti della mia collezione. Trattasi di vecchi numeri di Topolino che mio padre mi comprò in un mercatino delle pulci e che oggi sono impilati sotto una torre di altri albi, impiastricciati di nutella e succo di frutta, con le copertine rovinate dai miei tentativi di ricalcare a matita i personaggi. Fu con le avventure di questi buffi animali antropomorfi che mi invaghii della nona arte, delle parole racchiuse in un ballon, delle storie raccontate con sequenzialità.

Secondo un mio amico, questa sarebbe la mia personale Golden Age, da lui considerata come il periodo in cui ci innamoriamo del fumetto e che ricordiamo con una patina di incantata nostalgia e un velo di (poco obiettivo) affetto. In realtà, Golden Age è la definizione comunemente usata per indicare quel periodo della storia del fumetto statunitense che va dagli anni trenta ai cinquanta, in cui comparvero i primi supereroi, come Batman e Superman, che sarebbero poi diventati dei veri e propri archetipi dell’eroe moderno. Negli anni sessanta con la nascita dei supereroi con superproblemi, con l’apparizione di Fantastici Quattro, di Spiderman e tutta la complessata combriccola dei supereroi Marvel, vi fu il passaggio a quella che è invece chiamata Silver Age. Se non erro oggi siamo alla cosiddetta Modern Age, ma col passare dei decenni ci sono state molte e variegate età del fumetto, diverse non solo per il contesto storico ma anche per la nazione in cui si evolveva, perché anche la nona – come tutte le arti – ha le sue correnti artistiche, le sue mode, gli stili che si susseguono nel tempo. Andando in giro per forum a volte si leggono discussioni sfociate in flames, che in realtà rappresentano veri scontri generazionali tra figli della Golden Age, innamorati di eroi senza macchia e senza paura, che criticano i chiaroscuri caratteriali dei personaggi della Silver Age. Oppure per fare un altro esempio, chi ha conosciuto l’Uomo Ragno ai tempi di Stan Lee considera una perversione la versione dark e cupa degli anni ottanta scritta da De Matteis. Così come chi si è innamorato dell’Uomo Ragno di L’ultima Caccia di Kraven reputa una blasfemia la Saga del Clone. E chi invece sperava che Ben Reilly fosse davvero l’Uomo Ragno originale ha trovato terribile e insulsa la piega mistica del ciclo di Straczynski. Secondo il mio amico, alla base di queste preferenze c’è un legame affettivo, una sorta di imprinting letterario per cui ognuno ricorderà come un’epoca d’oro del fumetto il periodo in cui si è innamorato del medium e dei personaggi, indipendentemente dalla qualità effettiva delle storie. E’ come se si restasse attaccati a quell’immagine interiorizzata che ci ha fatto appassionare ed è per questo che sembrerà meno luccicante tutto quello che verrà dopo la propria personalissima golden age, quando qualcosa nell’industria del fumetto porterà personaggi e stili in nuove direzioni.spiderman

Il fumetto è entrato nella mia vita con il settimanale Topolino e mano a mano che crescevo scoprivo nuove fette di questa arte fatta di illustrazioni, parole e sequenze sapientemente miscelate. Paperinik (quello indimenticabile di Pikappa New Adventures) fu l’eroe imbranato delle scuole medie, al ginnasio mi appassionai ai manga come Slam Dunk, ai comic books come l’Uomo Ragno, a bonellidi come Dylan Dog. Il liceo fu la scoperta dei grandi autori come Hugo Pratt, Andrea Pazienza, Guido Crepax, Alan Moore, di un fumetto autoriale, e di un fumetto underground  che poteva comunicare con linguaggio maturo e tratto sporco cose per me inimmaginabili. Ogni volta che ne avevo la possibilità, prendevo il treno per scappare dal paese in città, per andare in esplorazione delle fumetterie, mecche dove recuperare arretrati e scoprire nuovi personaggi, spendendo fino all’ultimo centesimo della paghetta. Per non parlare dei filoni strategici per perdersi nel castello Sant’Elmo durante la kermesse del Napoli Comicon alla spasmodica ricerca di vecchie riviste come Corto Maltese, Frigidaire e Linus.

Oggi continuo a leggere storie a fumetti apprezzando allo stesso tempo le avventure di Daredevil, l’ironia di ZeroCalcare, i graphic novel di David B. Sono passati più di venti anni dal mio primo albo a fumetti, da quel numero 1875 di Topolino, e questa forma artistica, nonostante le evoluzioni, le sperimentazioni e le nuove correnti, continua a tenermi appiccicato con il naso sulla carta. Anche se Topolino non lo compro più (ma non vedo l’ora di avere di nuovo quell’appuntamento settimanale con l’edicolante per regalare ai miei figli quel mondo colorato e innocente di paperi e topi), anche se ho la forza di reggere un omnibus in mano e una più affinata capacità critica,  quel bambino di sei anni che si lascia rapire dalla fantasia prende puntualmente il sopravvento e si lascia stupire, incantare da quelle linee che diventano forma, volume, storia.

Probabilmente è vero che ognuno ha la sua golden age, ma di sicuro la mia non è mai finita. E spero non finisca mai.

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