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HOW I MET SPORT – Born to run

by Mario D'Errico

Tutti noi nasciamo da una corsa. Come dice una nota pubblicità, almeno una volta nella vita siamo arrivati primi. Quella prima corsa, a me, avrà affascinato particolarmente. Infatti una delle mie frasi ricorrenti è:A me piace correre!”.

Ed ecco a voi la storia di HOW I MET SPORT.

Sin da piccolo lo sport è stato parte del mio DNA. Ho fatto anche un sequenziamento del mio DNA, mi hanno detto di aver individuato una base azotata sconosciuta: la S. Tutti a chiedersi cos’era. Io l’ho capito fin da subito.

Era la Sportina!

classic_400PX_asset_22441795Mia mamma racconta che da piccolo ero sempre in movimento. Mi muovevo, correvo, ballavo. Allora, come si fa per tutti i figli maschi, decise di iscrivermi a scuola calcio. Ricordo bene che l’unico goal che feci fu un autogoal. Il mio unico momento di popolarità: dopo quel goal in tanti mi seguivano. Su Twitter sarei diventato una star. Peccato che volessero picchiarmi. Al Club House, dove mi approcciai al calcio, c’era anche una nota scuola di pattinaggio. Capendo che il calcio non faceva per me, mia mamma (il mio procuratore sportivo da bambino) decise bene di fare questo trasferimento: prestito senza diritto di riscatto. E come pattinatore devo dire di aver avuto “grandi” risultati: vinsi una coppa per un secondo posto in un torneo locale. Ricordo benissimo uno spettatore che disse: “oh, ma quel bambino chiattoncello non c’è male!”.

Pattinaggio-a-rotelleMa mia mamma non era ancora contenta ed allora, vedendo che in casa scattavo a ballare appena lo stereo iniziava a suonare, pensò: “ecco, adesso ho capito. Mio figlio sarà un grande ballerino”. Ero l’unico maschio in una classe di tutte femmine. Devo essere sincero: a me ballare piaceva. Molti miei amici, però, mi chiamavano “ricchiò”, anche se io pensavo: “e chi sta meglio di me. Sono il più piccolo, in mezzo a tutte donne e tutte che mi coccolano”. L’ apoteosi l’ho raggiunta poi con un’esibizione da solista sulle note di Mambo Number 5. Chi l’ha vista, anche solo in video, al solo pensiero scoppia in grasse risate (io per primo). Mia mamma, invece, ancora oggi mi dice: se continuavi, diventavi un grande ballerino, tipo Roberto Bolle. Ma questo sogno l’ho dissolto come tante bolle di sapone.

Poi improvvisamente arrivò l’adolescenza. Essere 175 cm in terza media significava essere uno spilungone e dato che alcuni miei amici di classe facevano Basket, decisi di accodarmi. Poche presenze in campionato. Una però non me la dimenticherò mai: giocavamo a Mugnano. Gli unici 2 convocati della scuola di Frattamaggiore eravamo io ed un mio caro amico di squadra. Per la prima volta giocammo per più di 2 minuti, collezionammo un bel bottino di punti ed il mister rimase entusiasta. A fine gare disse: “ragazzi vi dovete fare l’antidoping!”. Non capimmo bene il significato, ma era chiaro che fosse un complimento. Che soddisfazione!

Tutto però iniziava ad esser chiaro. Il Basket mi piaceva, ma il Calcio era il mio mondo. Non avevo certo le doti per essere un calciatore. Mio padre, però, era stato un grande arbitro e soprattutto un grande dirigente arbitrale. Mio zio, invece, un arbitro internazionale.

IMG_0094Non potevo, quindi, che diventare un arbitro di calcio. Il debutto fu un’emozione unica: si sfidavano Carinaro – San Rocco Frattamaggiore. Prima di scendere in campo per poco non me la feci sotto, lo ammetto. Ma in campo ero davvero a mio agio. Diedi anche il mio primo rigore (forse non c’era, ma ero al debutto… tutto era consentito). Oggi sono ancora un socio dell’Associazione Italiana Arbitri, anche se i miei muscoli si sono dimostrati più deboli di quelli di Pato e questo ha pregiudicato di molto la mia scalata alla seria A.

Sì, mi piace sognare che con dei muscoli più resistenti avrei calcato i prati della A.

Ed è così che a 15 anni sono entrato nel mondo del calcio. Così HOW I MET SPORT!

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