Home AuthorCinzia Cicatelli I cantautori: gli ultimi poeti del XXI secolo

I cantautori: gli ultimi poeti del XXI secolo

by Cinzia Cicatelli

Chiudi gli occhi, immagina una gioia, molto probabilmente penserai a… una canzone.

Lo scorso 28 novembre al Palapartenope di Napoli ho avuto la fortuna di assistere al concerto di Fabi, Silvestri, Gazzè. Un fuori programma dell’ultimo momento, di quelli che ti cambiano (in meglio) la giornata e che, come si suol dire, ti “lasciano qualcosa” fino a che appoggi la testa sul cuscino.

Ma non è del concerto che voglio parlare in questo post, ma della “poesia”.

Cosa c’entra il concerto della triade cantautoriale italiana più in voga del momento con la poesia? Ve lo spiego subito: quel “qualcosa” che mi è rimasto dopo la performance è una semplice riflessione, o meglio una domanda: possono i testi di alcune canzoni essere considerate poesia? Attenzione, non “come una poesia”, ma proprio una poesia, alla stregua di un sonetto di Petrarca.

La risposta che mi sono data è che, in verità, alcune canzoni sono le uniche vere poesie dell’età contemporanea.

«Che cos’è la poesia». Domanda – o risposta – impossibile come poche altre; nessuno, infatti, è mai riuscito a dare una definizione soddisfacente, forse perché troppo spesso si è tentato di dire che cos’è la letteratura, evitando di fare i conti con un ente inafferrabile, sfuggente, forse addirittura precategoriale, come la poesia.

Riflettiamo un attimo sull’evoluzione delle composizioni in versi: dalla rigida metrica classica alle rime tanto amate dai trovatori, dal pentametro giambico shakespeariano a… alla rottura completa delle regole morfosintattiche e metriche della poesia del ‘900.
poesia-musicaSempre più simili a flussi di coscienza, rigurgiti di emozioni o singhiozzi sensoriali, le liriche contemporanee (permettetemi come sempre le generalizzazioni per mera semplificazione) sembrano schegge infuocate di parole nate da esplosioni (o implosioni?) di pensieri. NB Charles Bukowski, Wisława Szymborska, Dacia Maraini (solo per citare i primi nomi che mi sono venuti in mente).

Poco o nessun labor limae, licenze poetiche divenute ormai la regola, ricercatezza e sonorità delle parole messa in secondo piano rispetto alla accuratezza, se vogliamo definirla così, della semantica (chissà se i puristi della lingua avrebbero mai accettato parole come sesso o merda in una poesia). E la rima? Non nominatela nemmeno! Solo a provarci sembra di fare un viaggio temporale nell’800 Leopardiano, o comunque ci penserebbero le case editrici a farglielo fare alla vostra silloge. Non è forse così? Immaginate, poi, i postmodernisti cedere alle lusinghe della rima baciata… un vero spasso.

Ed ecco che l’eredità dei nostri padri viene raccolta dai cantautori: lì dove il pentagramma impone delle catene nascono i versi più belli, come un fiore nel deserto. Giochi di parole, assonanze interne, scioglilingua, metafore, sono protagoniste di un linguaggio che non pretende di essere poesia eppure oggi lo è più di quella che si presenta come tale.

Ma al di là dei formalismi è anche questione di emozione. Questione di aforismi che amici ed innamorati si dedicano e che non sono più di Oscar Wilde ma dei Coldplay, non più di Neruda ma di Max Gazzè, non più di Dante ma di Dente.

Si tratta di appeal, la poesia ha perso il suo ruolo anzi i suoi ruoli: non intrattiene, non dileggia e non inneggia, non emoziona… almeno sulla carta stampata.

E invece in questo riescono i già citati Fabi/Silvestri/Gazzè (nomino loro perché questo post riflessivo mi è venuto ascoltandoli, ma potrei parlarvi per ore della incommensurabile poeticità di Jeff Buckley nella sua “Lover, you shoud’ve come over”) che poetizzano su musica o musicano poesie. Qual è la differenza con molti altri cantanti italiani e stranieri? Semplice, durante il concerto – gremitissimo – molti non conoscevano le parole, non intonavano che sparuti versi di pseudoritornelli.

Dove voglio arrivare, vi starete chiedendo. Beh, per caso conoscete una cantica o 3 terzine consecutive della Divina Commedia a mamoria? No, eppure ne restate rapiti quando qualcuno ve la legge o vi capita di leggerla voi stessi. Più o meno è lo stesso.

E allora smettiamola di usare l’espressione “questa canzone è una poesia” con sorpresa o tentativo di elogio… oggi i pezzi cantautoriali sono gli ultimi veri scampoli di poesia che ci è ormai rimasta.

Non ci resta che cantare in coro: “Meno male che il cantautore c’èèèèè”…
cantautori

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