Home Arte Di che Warhol stai parlando? Quello che Vetrine non ha esposto

Di che Warhol stai parlando? Quello che Vetrine non ha esposto

di Francesca Pili

Fino al 20 luglio il Pan di Napoli ha ospitato la mostra Vetrine di Andy Warhol nella quale non poteva mancare il rapporto dell’artista con la città.

Ai ritratti del gallerista Lucio Amelio si affiancano volti noti come: Graziella Leonardi Buontempo, Ernesto Esposito, Salvatore Pica, Peppino di Bernardo. Un video di Mario Franco lo ritrae durante una cena partenopea, si prosegue con le Napoliroid che congelano il suo sguardo sulla città nel formato quadrato, per poi concludere con la gettonata serie Vesuvius.

 “Amo Napoli perché mi ricorda New York specialmente per i travestiti ed i rifiuti per strada, come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New York”. (Napoli Nobilissima: Vol. 19, Arte Tipografica, 1980)

 Figura emblematica della Pop Art americana, Warhol è noto per le riproduzioni seriali dei personaggi dello spettacolo, della politica e dei prodotti quotidiani caratterizzanti la società di massa. L’intento è annullare alla rappresentazione ogni valore simbolico, riducendo l’intero apparato artistico (non solo: anche ogni momento del quotidiano transustanzia in merce di consumo) a mero business.

Nel 1982 dichiara: “Essere bravi negli affari è la forma d’arte più affascinante. Fare soldi è un’arte e lavorare è un’arte e fare buoni affari è l’arte migliore di tutte”.

Quest’approccio cinico ben designa quanto accadde a fine anni ’50, periodo in cui l’America si delinea come prima potenza mondiale e si gettano le basi della forma mentis consumista dominante tutt’oggi. 

“Comprare è molto più americano che pensare, ed io sono molto americano […]. Gli Americani non sono così interessati a vendere, preferiscono buttare via. Quel che amano fare è comprare: gente, denaro, Paesi”.

 La Pop Art denuncia la società astenendosi dalle critiche.

L’assenza della capacità di giudizio, infatti, è uno degli effetti della Babele mediatica nella quale siamo gettati, da cui emergono individui assuefatti.

Da tale matrice si conia l’altra faccia meno glamour dell’opera di Warhol. Si tratta dei lavori: lncident, Death and Disaster ed Electric Chair. Anche in queste opere la serialità è il mezzo del quale l’artista si serve per annullare ogni facoltà analitica dello spettatore: un brutale incidente o il volto sorridente della Monroe per noi hanno, ormai, la stessa valenza.

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Ridurre la vita al solo valore quantitativo scarta il lato emotivo, quindi umano, reificandoci ad oggetti di consumo e divertimento, stato che col tempo crea assuefazione, stasi.

Durante gli anni ’60, nel pieno del suo successo, dichiara: “Mi resi conto che qualsiasi cosa stavo facendo doveva essere morte”(Arte 3, Dorfles ­- Vettese, p. 381).

Warhol isola le immagini di cui i mass media abusano smascherandone l’intento: speculatori in cerca di business; l’amoralità è l’unico valore che esse tramandano.

I nuovi miti (dello spettacolo) non hanno più insegnamenti da trasmettere.

Eppure non possiamo farne a meno.

Lo status di artista gli permette di mostrare senza filtri quest’aporia di valori, per ciò: “Alcuni critici hanno detto che sono il Nulla in Persona e questo non ha aiutato per niente il mio senso dell’esistenza, poi mi sono reso conto che la stessa esistenza è nulla e mi sono sentito meglio”(1975).

 Ma a questo nichilismo si affianca sempre una risposta senza la quale la vita cesserebbe.

L’altra faccia della medaglia nell’arte di quegli anni è il tedesco Joseph Beuys.

 Lucio Amelio ebbe un colpo di genio nell’intuirlo, infatti presentò i due artisti, e per la prima volta apparvero pubblicamente a Napoli. Era il primo aprile 1980.

Warhol- Beuys-Amelio 04

Due personalità in apparenza agli antipodi nell’arte post bellica godevano, non a caso, di stima reciproca. Warhol e Beuys rappresentano le due reazioni sociali a quanto è stato l’orrore del secondo conflitto mondiale e della conseguente riqualificazione del corpo.

Da un lato c’è la giovane America vincitrice, con una storia tutta da scrivere ma fatta di immagini, che sancirà simbolicamente il suo dominio mondiale nel ’62 con la prima diretta satellitare televisiva oltreoceano, inaugurando quella atarassica società delle immagini dalla quale Platone millenni fa inutilmente ci intimò di diffidare.

Dall’altro lato del mondo c’è lo sconfitto: la Germania, la sua è una storia da riscrivere dalle ceneri del conflitto. Beuys, artista meno popolare, era un aviatore della gioventù hitleriana.

Il grave incidente aereo avuto durante la guerra lo mutò completamente, nel corpo come nell’anima, tanto da incentrare la sua arte sulla mitologia personale e la scultura sociale.

Col suo lavoro intende proporre, in questa assenza di miti virtuosi, il ripristino del concetto d’autorità attraverso l’autodeterminazione che l’individuo acquisterà ripercorrendo consapevolmente la propria storia personale. Tale processo porterà in un secondo momento alla democrazia diretta dove tutti gli individui si uniranno per intraprendere un cammino sociale evolutivo.

Nella mostra Vetrine curata da Achille Bonito Oliva ,non poteva mancare un discreto ma imprescindibile accenno  all’artista tedesco; in una saletta sono esposte tre delle serigrafie che Warhol gli dedicò.

Nel medesimo spazio troviamo Fate Presto, trittico facente parte della collezione Terrae Motus, voluta da Amelio in solidarietà al terremoto dell’Irpinia.

Ecco determinate, a mio avviso, le due strade che abbiamo a disposizione.

Ora sta a noi scegliere da che parte stare.

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