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Un po’ di basilico a Barcellona

di i-Cult

maria marcheseNome: Maria Marchese

Età: 32

Origini geografiche: Frattamaggiore

Città in cui vivo attualmente: Barcellona (nella foto – di Alessandro Pusceddu – al di là del sorriso di Maria potete ammirare il mercato del Born )

“Fatti una domanda e datti una risposta”. Sì, credo che il metodo Marzullo sia sempre vincente, per spiegare che ci faccia io in Catalogna. E poi, considerando che la mia vita ha l’interesse di un documentario sul coleottero sterminatore delle isole Fiji, se non m’intervisto da sola non lo farà mai nessuno. A parte il ragazzo col questionario del Comune di Barcellona che viene preso a porte in faccia da tutti, tranne che da una a caso.

Allora cominciamo.

Quando sei arrivata a Barcellona? A settembre saranno cinque anni. Ci arrivai il giorno della festa della patrona, la Mercè, ecco perché il biglietto era così caro. Ovviamente non ne sapevo niente. Avevo detto ai miei di aver prenotato almeno l’albergo, ma in realtà presi un taxi all’aeroporto e dissi le uniche parole in spagnolo che sapevo: “Para la estación de Sants, por favor”.

E perché ci sei rimasta? Per inerzia. Finito il dottorato, in cotutela con l’Università di Barcellona, non mi andava di tornare in Italia, perché l’Erasmus e gli anni all’estero mi hanno regalato una nuova identità: il tuo paese diventa una forma mentis che puoi portarti in giro dove vuoi, senza smettere di appartenergli, e appartenerti.

Solo per questo? Ok, lo ammetto, Barcellona mi ha conquistata a poco a poco. C’è gente che se ne innamora a prima vista, nel mio caso all’inizio l’ho trovata orrenda. Fredda, impersonale, un caotico luna park in cui la gente veniva per qualche tempo a vomitare via la propria vera personalità, insieme alla birra economica del Gotico (mi si passi la metafora poetica). Poi ho scoperto che c’era altro: musica, cultura, gente che aveva passato la fase etilica e voleva costruirsi una vita piena, felice. E Barcellona ti offre molte opportunità in tal senso, anche nel bel mezzo della crisi.

Si sente, la crisi, a Barcellona? Hai voglia! Ho metà degli amici a spasso, gli italiani se ne stanno andando a frotte, da che erano, mi si dice, la seconda comunità straniera a Barcellona, e sempre più gente scava nell’immondizia. Terribile vedere gli anziani vestiti di tutto punto, quando lo fanno. Intanto, però, la gente si organizza, è meno passiva che da noi. A parte il fenomeno degli indignados, del 2011, ci sono organizzazioni di cittadini che si occupano degli sfratti, numerosissimi in Spagna, e di altre tematiche come l’impiego dei proiettili ad aria compressa, da parte della polizia, agli scioperi generali e alle manifestazioni più importanti. Varie persone, tra cui italiani, hanno perso un occhio per questo. E un giornalista ci ha accusati di essere pericolosi anarchici venuti a seminare il caos.

Sì, vabbe’, ma tutti gli italiani a Barcellona sono sinistrorsi ossessionati dalla politica?  (Ride della domanda ironica, che intervistatrice fantastica!) No, sapeste quanti colletti alzati, occhiali a schermo totale e “Guapppa” si apprezzano in giro, specie per la Rambla! Anzi, una sociologa italiana dice che quest’immagine sinistroide è falsata dal fatto che noialtri ci riuniamo soprattutto coi nostri simili e, quando lo facciamo, be’, saltiamo agli occhi. Alle primarie del PD 96 voti sono andati a Vendola, questo è un dato interessante. Per il resto, una mia amica catalana una volta ha dichiarato: “Gli italiani a Barcellona o sono bestie o sono radical-chic”. Poi ci ha pensato: “Noi non siamo capaci di fare neanche questo”.

Cosa sono capaci di fare, i vostri connazionali d’adozione? Credo ci siano molti pregiudizi, ricambiati, tra gli autoctoni e noi immigrati “di lusso” (per quanto sia difficile la situazione oggi, non mi paragonerei mai ai vicini pakistani che vivono in 10 in 50 mq). Dai catalani sono contenta di aver imparato una maggiore franchezza, nei rapporti umani, che generalizzando li fa un po’ scorbutici, almeno per una napoletana allevata a pane e “crianza”. Ma, per fare esempi banali, perché devo invitarti a salire su da me anche se sto uccisa di sonno? Lo farò quando ne avrò davvero voglia. E perché rinunciare al mio piatto, se ho calcolato male le dosi della pasta? Una forchettata dalla portata di ciascuno e mangio quanto i miei commensali!

Cosa consigli agli italiani che vogliano visitare una Barcellona diversa da quella dei dépliant turistici? Prima di tutto, chiedete a chi ci vive. È molto facile che abbiate un amico italiano a Barcellona, o l’amico di un amico. Io eviterei anche i siti web più ovvi per turisti. Sono utilissimi per un’infarinatura generale, ma vi consiglieranno il meno peggio tra i ristoranti vicino alla Rambla, non il bar in cui vanno i vecchietti del quartiere, per esempio. E poi, ma qui sono di parte, non credete alle dicerie sul Raval. Gli autoctoni lo temono perché gli è rimasta la fama di quartiere malfamato, ma il Gotico mi sembra ben più a rischio borseggio e la cosa trapela meno. Il “mio” Raval è un quartiere multietnico, e purtroppo la cosa spaventa ancora. Eppure ci trovate concerti, mostre d’arte, localini di tutti i tipi (anche hipster, ultimamente), e certi ristorantini magrebini e pakistani che sono un’esperienza mistica!

Pensi sempre a mangiare. Lo so. Buona Barcellona. E se guardate bene, scoprirete che un pezzetto d’Italia ormai ha attecchito anche qui.

La redazione di CULT! consiglia di seguire Maria sul suo blog —> Il blog del basilico

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