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Vernice di Claudio Vittone – La fabbrica del colore nell’Espace di Torino

di i-Cult

Giovedì 23 febbraio è andato in scena al teatro Espace di Torino la rappresentazione Vernice, la Fabbrica del Colore di Claudio Vittone.  La narrazione è ambientata negli anni in cui iniziavano a far capolino nelle città, in particolare a Torino, le industrie. L’obiettivo non è quello di raccontare la storia dell’architettura industriale in fioritura, bensì osservare il suo impatto ambivalente sulle persone che l’hanno vissuta e quelle invece che ne hanno subito e ne subiscono l’impatto ancora oggi, il tutto ricostruito a partire da fatti realmente accaduti. A introdurre lo spettacolo, la riproduzione di un video, in cui scorrono i racconti degli operai protagonisti di quegli anni di cambiamento.

Dopo di che siamo pronti a entrare nel vivo delle storie.

Già perché il racconto è fatto di piccoli frammenti di vita, collegati tutti da un fil rouge rappresentato dalla fabbrica di Vernici, che dalla posa del suo primo mattone fino all’ultimo della sua ciminiera posto a 34 m da terra, riesce ad essere protagonista delle vite dei nostri commedianti.

I temi affrontati sono tanti e alcuni anche scottanti.vernice la fabbrica del colore

In un attimo possiamo calarci nei panni del direttore della fabbrica, sentire l’orgoglio che nutre per quel prodotto che conosce ormai cosi bene, per la dedizione dei suoi operai che, instancabili, lavorano oltre dieci ore al giorno per mantenere ritmo e qualità della produzione, quegli operai che, per lui, sono diventati una famiglia. La sua vera famiglia però è a casa, lo aspetta fino a tarda sera e quando finalmente è con loro purtroppo, lo è solo fisicamente, perché la mente è ancora fra quelle mura dove nascono i colori. Sua figlia fa parte di quella generazione che crescerà con la certezza di dovere un giorno varcare quelle stesse mura per lavorare nel posto che gli ha portato via l’affetto quotidiano, fatto di piccole carezze e accortezze, di suo padre.

Poi ci sono gli operai … e le operaie… e i loro diritti.

Diritto a lavorare in posto sicuro, diritto a conservare il posto di lavoro in caso di maternità, diritto di lavorare per vivere e non vivere per lavorare, il diritto a essere bambino e non entrare in fabbrica a 13 anni!

Il confronto fra le generazioni, quella pragmatica e risoluta del fare e quella dei giorni nostri che ha come prima arma la cultura e come dovere quello di adoperarla sempre per Vivere e Abitare un luogo.

Nessuna morale ma tanti insegnamenti conditi con vivacità da estratti di vita frivola del tempo, perché in fondo ci si divertiva anche li, un po’ come nel film La Grande Bellezza.

Al di là di tutti i messaggi espliciti di questo spettacolo, quello che ho voluto portare a casa con me è che non ci sono colpevoli nella vita, ma solo modi differenti di vedere le cose.

Il direttore non può essere condannato per dedizione al lavoro, gli atteggiamenti ribelli di un figlio non possono essere giustificati sempre e solo dalla sua “testa calda”, una moglie urla … solo per attirare la vostra attenzione, un lavoratore in protesta non è uno scansafatiche, vuole aiuto; un giovane seduto in silenzio non è un fannullone … sta solo PENSANDO!

di Alessia Procida

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