Vi consiglio spassionatamente di fare un salto al Madre entro il 19 gennaio per farvi coinvolgere dalla mostra Preface/Prefazione di Walid Raad. È la prima volta che l’artista libanese espone all’interno di un’istituzione pubblica italiana. Ciò lo si deve al lungimirante direttore del museo Andrea Viliani, nonché curatore della mostra assieme ad Alessandro Rabottini.
È stato interessante partecipare anche all’inaugurazione, tenuta il 10 ottobre, evento che solitamente mi raccapriccia per la volontà che le persone hanno di esporre se stesse in tali circostanze, svuotando di contenuti la loro presenza. In questa occasione, invece, tutti eravamo rapiti dalle opere di questo artista affascinante che racconta la realtà del suo Libano, Paese in cui la guerra è un basso fondo continuo, la quale eco ancora non placa definitivamente la terra.
Lo sguardo di Raad è a tratti ironico senza essere irriverente, ludico mostrando la serietà del gioco, tautologico perché di fronte all’orrore che siamo capaci di creare, la metafora non è più lo strumento del poeta ma l’arma del vile. Davanti a tutto questo, noi spettatori eravamo assorti, catturati: non le solite chiacchere da bar con comitive di gente che si piazza davanti all’opera dimenticandosene (e questa è una critica che forse muovo di più verso un certo tipo di arte che a volte permette, altre volte merita, determinati tipi di reazioni), ma chi parlava lo faceva perlopiù per continuare il dialogo innescato dai lavori di Raad, che spaziano dall’installazione alla scultura passando per la fotografia.
C’era la volontà da parte del fruitore, di capire, andando oltre il solito “mi piace/non mi piace”; l’ego è stato messo in disparte e ci si è messi in ascolto. La guerra, raccontata onestamente da chi la vive, è stata mostrata senza essere spettacolarizzata.
Ed è per questo che la gente si è sensibilizzata; il telegiornale non fa quest’effetto, si impone senza che tu rifletta, e poi passa subito alla prova costume.
Lo spettacolo fabulizza il mondo negandoci la tanto attesa morale del finale, e la storia si svuota. L’arte invece ….
Ditemelo voi.
