IL NAUFRAGIO DELL’ANIMA: la zattera della medusa

Vi siete mai domandati qual è la distanza che intercorre tra speranza e disperazione?

Passeggiando tra le sale del rinomato museo Louvre di Parigi non si può fare a meno di soffermarsi su quella che è, a mio avviso, una tra le più impressionanti tele. Non sto certamente parlando della Gioconda, ma di una tela ben più grande (4,9 m x 7,2 m). Si tratta della celebre Zattera della Medusa, un olio su tela di Théodore Géricault. L’ispirazione è tratta da un fatto di cronaca reale. Nel 1816 la nave Medusa è inviata dal governo francese in Senegal per riaffermare il dominio in quella zona, ma le incapacità del comandante portano la Medusa al naufragio: più di 150 persone vengono rilegate su una zattera, di cui solo 10 faranno ritorno a casa. La vicenda sconvolge la popolazione di tutto il mondo. Ma cosa fa Géricault nel frattempo? Ascolta le testimonianze di due sopravvissuti. Solo così può finalmente concludere l’opera nel 1819, dandole le coordinate che faranno della Zattera della Medusa un’icona del romanticismo francese. L’esperienza classica è in ogni caso perfettamente assorbita dai corpi, questi si stagliano sulla tela assumendo le fattezze di divinità di altri tempi in un contesto che ha ben poco a che vedere col divino. L’orrore della morte e scene che sono successive ad atti di cannibalismo sono rappresentate sul fondo della zattera, un crescendo di emozioni porta alla tensione, una tensione fisica e emotiva che li fa protendere verso la speranza, verso la luce. Si giunge così al culmine, alla vetta emotiva: quella di un giovane che guarda all’orizzonte speranzoso. L’artificio di Géricault è quello di porre di spalle le figure che incarnano la speranza, questo è significativo perché se queste ci guardassero negli occhi, proveremmo pietà. Ciò che noi siamo, invece, di fronte a questa opera, è speranzosi. Ci sostituiamo alla figura del giovane e scrutiamo l’orizzonte in cerca di un appiglio, di una nave. L’assenza di una nave che inizialmente era stagliata sull’orizzonte, ma che l’artista, poi, ha occultato, ci pone in uno stato di angoscia, di tormento continuo. Partecipiamo al dubbio: saranno (saremo) salvati? Questa è a mio avviso una delle risoluzioni più strabilianti, tormentose e antitetiche che abbia mai visto. La vita umana è un continuo essere in bilico tra speranza e disperazione, questo è il messaggio. Mentre la Francia prima della rivoluzione era rappresentata dal Giuramento degli Orazi (J. L. David), la Francia dopo la rivoluzione è rappresentata così, tra speranza e disperazione.

Guardando la zattera io prendo il posto del giovane, patisco al suo posto l’attesa mentre sono sballottato dalle onde. Inaspettatamente alzo la testa per cercare di fare strada il mio sguardo tra le onde. E TU?

Veronica Cimmino: Femminista. Entusiasta. Mi piacciono i libri, e l’odore della carta; amo i cavalli, l’odore della pioggia, i treni, le stazioni, le ultime chiamate. Ossessionata dal gesto artistico, sono interessata a qualsiasi espressione umana. Mi interessano le tradizioni, le persone, gli atteggiamenti. Il teatro: Dio salvi il teatro! (anche se sono agnostica). L’architettura, le chiese, Borromini: la luce. Amante dei monologhi, delle introspezioni, del flusso dei pensieri; questo spiega solo in parte la mia ossessione per Virginia Woolf, e mi sento quasi costretta a citarla, perché forse nulla potrebbe descrivermi meglio di quando afferma: “[…] I’m not one of those who find their satisfaction in one person, or in infinity”.

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