India, un viaggio in sinestesia

Negli anni ’70 si andava in India per trovare sé stessi.

Forse c’era una sensibilità diversa, forse l’abbondanza e la qualità degli stupefacenti del Subcontinente costituivano una motivazione inconfessabile o forse era una semplice moda. Resta il fatto che per me – dopo 6 mesi trascorsi laggiù – è già tanto non essermi perso.

Quando il lavoro di diplomatico era solo un un sogno  ho deciso di sostenere gli ultimi esami della specialistica in una università in India, l’Indian Institute of Management di Ahmedabad, con l’idea di studiare sul posto una delle principali economie emergenti.

Dopo il dovere, però, mi sono concesso il piacere di scorrazzare per due mesi in giro per il Paese: zaino in spalla, mezzi pubblici e tanta, tanta pazienza. E così ho imparato molto di più.

L’India ha 28 stati, 23 lingue ufficiali e un territorio che va dalle vette himalayane agli atolli corallini. E poi ha 1 miliardo e 200 milioni di abitanti, e non è rara la sensazione di averli tutti, ma proprio tutti, intorno a sé.

Raccontarla, l’India, non è semplice. E’ un mondo pieno di cose, ricco di persone. E’ soprattutto un mondo opposto, in tutto, alla realtà occidentale. E’ ai suoi antipodi culturali prima che geografici.

Viverla è invece una sfida, innanzitutto con sé stessi. Per farlo occorre astrarsi, dimenticare tutto ciò che si sa. Con la testa svuotata si può cominciare il viaggio in India. E forse il modo migliore e più sorprendente per compiere questo viaggio è affidarsi totalmente ai propri sensi.

Udito. Il primo impatto con il Paese, ovunque e con qualunque mezzo arriviate, è il rumore dell’incessante – ma incessante per davvero – strombazzare delle migliaia di tuk-tuk, simil-apecar per trasporto passeggeri. Di lì è un crescendo di “casino”: dalle stazioni ai mercati, dalle urla dei bambini alle colonne sonore dei film bollywoodiani. Ai tuk-tuk prima o poi ci si abitua, al resto no: potrete solo fuggire in montagna o nel deserto (vedi oltre).

Tatto. Se toccate la sabbia del deserto di Thar sentirete che è fredda. Se toccate invece il marmo del Taj Mahal, sentirete che è caldo, riscaldato ancora dall’amore dell’imperatore Shah Jahan per la sua moglie preferita Arjumand, a cui è dedicato il mausoleo.

Gusto. E il “calore” in India incomincia  dalle spezie: curcuma, cardamomo, zenzero, noce moscata, mostarda, pepe, cannella, coriandolo, cumino, papavero, zafferano. O un bel mix: curry o masala (ogni famiglia ha la sua ricetta diversa). Se pensate di non farcela a sostenere dei sapori così forti, sappiate che il lassi (bevanda a base di yogurt) al Nord o il latte di cocco al Sud sono perfetti per stemperare e “raffreddare” il tutto.

Olfatto. E’ negli odori che forse si riconosce davvero l’India. Non è detto che siano sempre buoni, anzi. Però la loro varietà, dal più acre al più dolce, vi ricorderà l’importanza di un senso che da questo lato del mondo abbiamo decisamente “anestetizzato”.

Vista. Secondo me il primo motivo per andare in India sono i colori. I colori sono ovunque. Nei vestiti tradizionali delle donne e nei turbanti degli uomini, nelle bandierine di preghiera buddiste e nei fiori votivi induisti. Le città del Rajasthan sono conosciute per il loro colore: così Jodhpur è la città blu, Jaipur è la città rosa, Jaisalmer la città oro. I colori sono così importanti che a loro è dedicata l’Holi (che si sta diffondendo in tutto il mondo con dei festival che lo omaggiano) una festa in cui si celebra l’inizio della primavera gettandosi addosso polveri colorate (e profumate). Per chi ama fare foto è un paradiso. Ma lasciate perdere gli effetti instagram che le rovinerebbero solamente.

Insomma, l’India è questo e tanto altro ancora. Ma se non ci andate non lo saprete mai!

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