Quante volte ci siamo soffermati nel corridoio di un museo incantati dalla stupefacente bravura di un artista che con il suo pennello è riuscito a tingere dei colori perfetti su una tela? O quanto ancora più stupefacente può essere stato l’intaglio perfetto e preciso del manto di una statua in legno? Ecco… rimanendo incantati da tanta bravura, non avete considerato anche voi quell’artista un vero e proprio “genio”?
Durante il Medioevo le arti figurative erano annoverate tra quelle meccaniche: i pittori e gli scultori potevano anche essere degli analfabeti (e nella maggior parte dei casi lo erano) tanto a loro non era chiesta alcuna attività di pensiero. Essi dovevano solo possedere l’abilità tecnica che gli permetteva di eseguire il lavoro che gli era stato commissionato. Quando, però, il fare arte divenne una tecnica sempre più evoluta, l’artista non poteva più essere messo a paragone di un semplice operaio che possedesse solo abilità manuali. E’ dal Rinascimento che l’evoluzione della figura dell’artista compie il grande salto: da questo momento in poi, anche l’artista rivendicherà per se il ruolo di intellettuale. Questo perché c’è un’ideazione nel compiere un’opera d’arte, una progettazione, delle capacità che vanno ben oltre quelle solo manuali. Anche se, diciamoci la verità, usando o meno il cervello, bisogna avere davvero un tocco di classe per scoccare il colpo del martello su un picchetto e scalfire il marmo nell’esatta misura di cui l’artista necessita, né più e né meno.
Vi riporto l’esempio del marmo perché in scultura è tra i materiali più difficili da lavorare perché duro, compatto e tutto ciò che togliamo non possiamo riattaccarlo (come si fa ad esempio lavorando l’argilla). E vi riporto l’esempio del marmo anche perché, nonostante io sia una patita di dipinti più che di sculture, quando mi imbatto in un panneggio scolpito alla perfezione o nella contrazione dei muscoli di un corpo impressi in un materiale apparentemente duro come il marmo rimango senza parole. Vorrei suscitare in voi il mio stesso interesse per questo materiale così “incantato”, regalandovi solo pochi esempi di scultura in marmo in cui ogni colpo dell’artista ha delineato corpi morbidi e vesti leggere, tanto da sembrare realistici e non dei compatti, freddi materiali da cava.
Il classico esempio che potrei farvi è il Ratto di Proserpina del Bernini, eseguito tra il 1621 e il 1622 ed esposto nella Galleria Borghese di Roma, in cui le mani di Plutone affondano salde sul corpo di Proserpina, regalando a noi la stessa violenza che prova Proserpina nell’atto di essere rapita.
Ma voglio lasciarvi alla contemplazione, seppur telematica, di una scultura di Giuliano Finelli, scultore italiano del periodo barocco, cresciuto alla scuola di Gian Lorenzo Bernini. La scultura è il Busto di Maria Barberini ed immediatamente noterete con quanta minuzia egli sia riuscito a scolpire nel marmo il colletto dell’abito di questa donna rendendo il pizzo assolutamente realistico. Sono rimasta assolutamente senza parole quando mi è capitato di vederlo in visita al Louvre di Parigi ed ho avuto la frenetica necessità di condividere questa cosa con voi.
Ovviamente state attenti a non prendere queste mie parole come un invito a toccare le sculture nei musei perché rischierete che gli allarmi vi facciano beccare. Ma mi auguro che con questi spunti possiate osservare le cose in maniera più sentimentale, lasciandovi trasportare un po’ di più dalle sensazioni che ne ricaverete.