Sono ventunomila le persone che hanno celebrato il solstizio d’estate, giorno più lungo dell’anno, intorno allo Stonehenge. Molti curiosi, ma soprattutto pagani e druidi (sacerdoti celtici), in una celebrazione che si svolge da circa cinquemila anni. In molti stenterebbero a crederlo, anche perché si è soliti pensare al Regno Unito come Londra e basta, e solo in pochi si avventurano in paesi in cui tuttora molte tradizioni sono vive e senz’altro evidenti. All’apparenza un “raggruppamento” del genere non risulta anomalo, visto che i curiosi mascherano i veri e propri fedeli, che, in realtà, non sono giunti qui per curiosità, ma per portare avanti una tradizione antica. Il druido Frank Summers spiega:
“Ci riuniamo in circolo cosicché l’uno è uguale all’altro, poi ci rivolgiamo ai quattro punti cardinali partendo da nord, dove risiede la madre terra, quindi è il turno dell’aria, del fuoco e dell’acqua. L’idea è di invitare i nostri antenati a partecipare e ad osservare quello che stiamo facendo.”
Per capire a pieno questo rito, occorrono alcune considerazioni di tipo astronomico: il sole nel suo moto apparente intorno alla terra sembra fermarsi per alcuni giorni in un punto preciso, sorgendo e tramontando sempre nello stesso punto, finché il 24 giugno e il 25 dicembre (rispettivamente solstizio d’estate e solstizio d’inverno) ricomincia a sorgere, ogni giorno sempre più a sud sull’orizzonte (a giugno) e sempre più a nord (a dicembre), determinando in maniera graduale l’allungarsi o l’accorciarsi delle giornate.
Ma veniamo allo Stonehenge!
Ma i popoli vissuti 5 mila anni fa da dove avrebbero desunto tali conoscenze per creare uno “strumento” simile? E, soprattutto, come sono riusciti a spostare e posizionare i blocchi di pietra? Non ci sono risposte. Proprio come accade per i monumenti dell’antico Egitto, del popolo Inca e di molti altri, non siamo in grado di dare risposte riguardo la complessità delle conoscenze e la possibilità di trasportare blocchi di notevoli dimensioni quando non esistevano macchinari in grado di farlo. C’è chi, poi, trova risposta in leggende: in una della prime opere dedicate a Re Artù, la “Vita Merlini” di Geoffrey of Monmouth, si parla di un complesso circolare composto da enormi pietre, la Chorea Gigantum (“Danza dei giganti“) che si trovava in Africa, poi portato in Irlanda da un popolo di giganti. Qui era stato sistemato sul Monte Killarus, come monumento funebre. Re Uther Pendragon tentò di trasportarlo in Inghilterra, ma l’impresa era superiore alle sue forze, così dovette rivolgersi al mago Merlino, il quale, lo trasferì nella piana di Salisbury, dove esiste tuttora con il nome di Stonehenge. Si tratta di storia o di leggenda? Che validità può avere il testo?
Io non stenterei a crederci, tra l’altro, non abbiamo, al momento, altre risposte. E voi?