Il busto di nefertiti conteso tra Germania ed Egitto

Recentemente il critico d’arte Vittorio Sgarbi in una trasmissione televisiva si riferiva ad un problema a noi molto vicino: “E’ possibile che Berlino abbia 3 volte i visitatori che ha Roma?”. Quando ho sentito le parole “Berlino” e “visitatori” ho subito pensato al busto di Nefertiti (conservato al Neues Museum della capitale tedesca).

L’immagine del busto di Nefertiti è nota a noi tutti e non a caso, visto che si tratta di uno dei più famosi ritrovamenti che il mondo possa vantare di aver dissotterrato.

L’anno scorso il busto ha compiuto 100 anni dalla sua scoperta, che avvenne nel 1912 ad opera dell’archeologo tedesco Ludwig Borchardt, mentre scavava nel sito di Tell el Amarna. La città che oggi è conosciuta con questo nome fu fondata dal faraone Akhenaton nel 1341 a.C., che spostò la capitale del suo regno da Tebe (dove era cresciuto) a più di 400 km a nord, in un territorio che lui stesso definì come indicatogli dal Dio Aton e che quindi chiamò Akhetaton. Il faraone è conosciuto come “l’eretico”, colui che trasformò la religione egiziana in monoteista con la venerazione del solo Dio Aton. Ad Akhetaton viveva e lavorava il grande scultore Thutmose, ed è proprio nel suo laboratorio che nel 1912 venne alla luce il busto della regina Nefertiti, moglie del faraone Akhenaton e matrigna del famigerato Tutankhamon.

Sul busto della regina si è detto di tutto. La mancanza dell’occhio ha lasciato spazio a ricche interpretazioni che la vedevano affetta da cataratta o da una malattia che ne comportasse la perdita. In molte considerazioni non si tiene conto del fatto che il busto doveva essere un’opera incompiuta o che gli occhi fossero andati persi in un secondo momento, ipotesi questa, avvalorata dal fatto che si sono trovate tracce di colla all’interno dell’orbita. Quello che a noi appare come un capolavoro indiscusso, alla regina probabilmente non dovette piacere, visto che il busto rimase incompleto nel laboratorio, oppure, evidentemente, la regina dovette morire prima che questo fosse completo.

Molte sono le considerazioni fatte sulla presunta falsità del busto di Nefertiti. Sostanzialmente sono due i motivi di questa credenza: il primo affonda le radici nel periodo in cui l’archeologo Borchardt fece creare un falso per riuscire a ingannare le autorità egiziane e portare il busto originale in Germania; il secondo affonda le radici nella personalità di Hitler che, affezionato al busto, per far in modo che fosse protetto durante il conflitto, dovette commissionarne una copia. Sicurezza del fatto che il busto sia originale? Non ce ne sono. In ogni caso il busto di Nefertiti, il cui nome significa “bella che è arrivata” attira circa 700.000 visitatori all’anno e la sua bellezza continua ad affascinare tutti. La bellezza di una donna che non si limitò ad interpretare il ruolo di sposa reale, ma che aveva parte attiva politica e che dovette ricoprire egli stessa, alla morte del marito, il ruolo di faraone. Intanto si attende la scoperta della sua tomba, che, ad oggi, non è stata ancora ritrovata e che si spera ci possa dare, un giorno, più informazioni sulla donna più potente dell’antico Egitto.

L’ultima questione sulla quale mi voglio soffermare è molto recente. Ritrovamenti delle lettere che l’archeologo Borchardt scambiava con sua moglie quando si trovava in Egitto, sono state trovate pochi anni fa da una coppia di archeologi. Dall’analisi di queste si evince che Borchardt capì sin da subito l’importanza di ciò che aveva portato alla luce e sapeva che il governo egiziano non gli avrebbe consentito di portare il busto in Germania, ma di fatto questo è accaduto e il governo egiziano vede il busto come trafugato e portato in Germania con l’inganno. Il busto si trova in Germania dal 1912 e oggi è conservato al Neues Museum di Berlino. Da anni l’Egitto ne chiede la restituzione, ma senza risvolti. Secondo voi è giusto che un reperto sia strappato al luogo di origine per essere esposto in territorio estraneo che ne snatura la storia, decontestualizzandolo?

Veronica Cimmino: Femminista. Entusiasta. Mi piacciono i libri, e l’odore della carta; amo i cavalli, l’odore della pioggia, i treni, le stazioni, le ultime chiamate. Ossessionata dal gesto artistico, sono interessata a qualsiasi espressione umana. Mi interessano le tradizioni, le persone, gli atteggiamenti. Il teatro: Dio salvi il teatro! (anche se sono agnostica). L’architettura, le chiese, Borromini: la luce. Amante dei monologhi, delle introspezioni, del flusso dei pensieri; questo spiega solo in parte la mia ossessione per Virginia Woolf, e mi sento quasi costretta a citarla, perché forse nulla potrebbe descrivermi meglio di quando afferma: “[…] I’m not one of those who find their satisfaction in one person, or in infinity”.

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