Se siete stufi di leggere le solite e trite storie con Cenerentole e Cappuccetti Rossi rivisitate in un tutte le salse (dal gotico all’horror passando per lo steampunk), ma non volete rinunciare al fascino senza tempo della fiabistica, potreste dare una chance a Bellezza di Kerascoet e Hubert, nuovissima e sofisticata fiaba nella forma di graphic novel, portata in libreria dagli intraprendenti tipi della Bao Publishing.
La narrazione delle fiabe ai bambini, considerata da pedagogisti e psicologi una fondamentale funzione dello sviluppo cognitivo e affettivo, non è più prerogativa delle mamme mentre rimboccano le coperte ai figli, bensì appannaggio dei media. Cinema e serie tv hanno infatti preso la stoffa di cui sono fatte le fiabe e le hanno adattate ai loro linguaggi multimediali.
Anche iI fumetto non è esente da questi travasi e trasmigrazioni, per fortuna, visto che ci ha regalato nell’ultimo decennio perle come Fables di Bill Willingham e Mark Buckingham e, appunto, Bellezza di Kerascoet e Hubert.
La protagonista della storia in questione è una giovane ancella di umili origini, chiamata Baccalà non solo per l’olezzo di pesce di cui è intrisa dalla testa ai piedi, ma anche per il suo sgradevole aspetto: contrariamente alle classiche protagoniste della fiabe non incanta il prossimo con pelle bianca come la neve e bocca rossa come il sangue, bensì ha orecchie a sventola e occhi da triglia che provocano ilarità e scherno nei crudeli e superficiali compaesani. Baccalà non solo è bruttina e anche un po’ ignorantella, ma non è baciata nemmeno da quella bontà ai limiti della santità che contraddistingue tante altre colleghe fiabesche. Piuttosto la si potrebbe descrivere come un’amorale ingenuotta, la cui più grande aspirazione nella sua monotona vita è quella di maritarsi. E così, quando per un fortuito e imbarazzante caso, Baccalà salva da un maleficio l’ambigua fata Mab, questa la ricompensa donandole ciò che lei da sempre più desidera: non tanto essere bella, quanto apparire bella agli occhi degli altri.
“La bellezza vuoi, la bellezza avrai. Agli occhi delle altre persone sarai l’ideale della bellezza fatta donna”.
Ma gli ideali sono tali se restano relegati nel mondo delle idee, irraggiungibili agli uomini o al massimo racchiusi nei cuori inappagati degli idealisti. Un ideale incarnato può essere più pericoloso di una testata nucleare, come scoprirà sulla sua pelle Baccalà, la quale dopo l’incantesimo verrà chiamata, appunto, Bellezza: il magico dono di incarnare l’ideale della bellezza si trasformerà nella più sventurata delle maledizioni, non soltanto per la giovane e sprovveduta fanciulla, ma per tutti coloro che avranno a che fare con lei. Una maledizione che si estenderà a macchia d’olio arrivando a gettare nel caos e nell’infelicità tutti i regni e gli abitanti (compresi principi, re e regine) di questo reame immaginario fatto di incantevoli chine.
Innanzitutto Bellezza della fiaba ha la forma canonica. Si potrebbe addirittura azzardare l’ipotesi che tanto i personaggi, quanto le azioni che essi compiono, ricalchino molti degli elementi tipici della morfologia della fiaba individuati da Vladimir Propp: alla ricerca di una matrice comune nei racconti fiabeschi europei, il noto antropologo russo aveva infatti provato a individuare nelle numerosi fiabe occidentali uno schema, una sorta di struttura che le accomunasse. In effetti, in “Bellezza”, aiutanti magici, eroi e falsi eroi, ci sono, così come non mancano raggiri, infrazioni, lotte e prove.
Al di là del sapiente uso che l’autore fa di ispirazioni antropologiche e psicoanalitiche, sono le implicazioni filosofiche sul ruolo della bellezza il piatto forte di questo colto fumetto: da Platone a Kant, da Yeats a Rilke, la bellezza è da sempre stata oggetto di indagine. Questi pensatori non li troverete citati, eppure nel seguire Baccalà nel suo cammino tra bruttezza e bellezza, tra ignoranza e saggezza, il vostro pensiero non potrà fare a meno di essere rivolto anche a loro. Esemplare la sequenza del primo capitolo in cui l’artista, al quale è stato commissionato il ritratto della giovane, impazzisce nel tentativo di riportare su tela la bellezza personificata che si trova di fronte: l’arte che ha sempre idealizzato (e canonizzato) la bellezza, di fronte all’ideale incarnato non può far altro che avvicinarsi per approssimazione e soccombere.
La bellezza è un’illusione?
Bellezza è verità? Verità è bellezza?
La bellezza è negli occhi di chi guarda?
Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace?
La bellezza salverà il mondo?
Kerascoët e Hubert hanno la bravura di destare nel lettore queste domande, senza porgerle. Di innestare riflessioni, mentre raccontano una fiaba. L’unica caratteristica che la distingue dalle altre fiabe è la mancanza del classico incipit “c’era una volta“, ma visto che, intessuti nella trama, vi sono anche riferimenti attuali sul rapporto tra essere e apparire, sul senso del possesso e sul ruolo di donna-oggetto, non poteva essere altrimenti.
Autori: Hubert, Kerascoët
Traduzione: Francesco Savino
Editore: Bao Publishing
144 pagine, cartonato, b/n e oro – 21 euro
ISBN: 9788865432709
Piccola nota al margine: se nella scelta di un prodotto l’occhio vuole la sua parte (e qui ci starebbe tutta anche una riflessione sul rapporto tra bellezza e marketing, o di come il marketing sfrutti la bellezza), l’elegante edizione adottata per questo graphic novel, dalla copertina laccata color rosa fluo alla costina disegnata, non deluderà l’amante del bello.