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Jamais Vu – Dimenticare cosa facciamo per ricordare chi siamo

di Angelo Capasso

Il ricordo è puro mastice per l’identità individuale. Accumuliamo incessantemente informazioni fatte di pensieri, conoscenze, sensazioni, che la memoria filtra mediante complessi processi che la neuropsicologia tutt’oggi non riesce a spiegare del tutto. La società stessa è un organismo complesso che serba memoria, ma paradossalmente indurre a obliare sembra essere divenuta prerogativa del sistema societario contemporaneo. Paradossalmente, perché ormai lavorano più persone nei campi della comunicazione e dell’informazione che in quelli da arare e, nonostante siamo bombardati da un flusso inarrestabile di dati, non riusciamo ad assimilarli e digerirli. Esito di questa bulimia cerebrale è che dimentichiamo con la stessa facilità di quanto conosciamo. Sarà per questo che ormai conta più quello che sta dicendo il politico oggi, piuttosto che quanto ha promesso l’altro ieri e poi non ha mantenuto appena ieri?

Proprio un malfunzionamento parziale della memoria è la miccia che innesca la trama del primo spettacolo che ho visto durante questa ottava edizione del Napoli Teatro Festival, appuntamento fisso di giugno che da tradizione chiude la stagione teatrale del capoluogo partenopeo e preannuncia quella successiva.

Un’amnesia parziale di un gruppo di rapinatori improvvisati è infatti il bizzarro incipit di Jamais Vu, pièce andata in scena l’8 e il 9 giugno nella sala Fringe, allestita per l’occasione tra le mura medievali di Castel Sant’Elmo.

Nel ritrovarsi senza sapere dove sono, ignorando cosa hanno fatto prima di arrivarci e non riconoscendo i volti dei propri compagni di sventura, questi ladri di biciclette e aspiranti terroristi del sorriso si ritrovano a vivere una commedia degli equivoci che incede fino a quando i ricordi cominciano a riaffiorare. Ma quando finalmente rievocano il crimine appena compiuto (e a stento riuscito) nella Banca Nazionale, obiettivo scelto perchè rappresenta il fulcro della macchina socioeconomica alla quale attentano, il tono cambia progressivamente. Anche se si continua a ridere tra gag e battute ironiche, mano a mano che la narrazione incalza, piroettando tra passato e presente attraverso flashback che mostrano cosa li ha spinti a impugnare le pistole, le risate si fanno più aspre.

jamais vu

Quella messa in scena dal Collettivo Lunazione per la regia di Eduardo di Pietro è una storia che con estro immagina un atto estremo compiuto da persone ormai allo stremo. Sul palco Mario Autore, Giulia Esposito, Michele Iazzetta, Cecilia Lupoli, Giulia Musciacco e Alessandro Paschitto danno voce e corpo con credibilità e stile ai sei personaggi in cerca di ricordo. Le musiche e le luci riempiono una scenografia scarna, senza sovrastare l’intreccio narrativo e anzi sono parte integrante della rappresentazione. 

Il titolo dello spettacolo si riferisce a un particolare disturbo della memoria,  un sorta di “inceppo” nel meccanismo del ricordo che non permette di riconoscere una peculiare situazione o una precisa persona, che invece dovrebbero essere familiari! Eppure nell’assistere agli spaccati di vita dei protagonisti,  il jamais vu di questi rapinatori della domenica funge da vero e proprio dèja vu per lo spettatore. Io, per esempio, ho rivisto mio zio che a stento riesce a sbarcare il lunario con la sua impresa edile. Ho rivisto una mia amica di Campobasso ritornata a testa bassa in terra natia dopo anni di stenti vissuti da fuorisede per tentare una carriera universitaria mai decollata e infine abbandonata dopo l’ennesimo bando di concorso ad personam. Ho rivisto i miei genitori che appena sposati furono licenziati dallo stabilimento industriale dove lavoravano e da allora sono rimasti a galla tra mille stenti e soprusi lavorativi senza mai riuscire davvero a riemergere. E ho rivisto me stesso, che professo odio per il potere del denaro e per le condotte illegali, ma che ho accettato tante volte, troppe volte, prestazioni a nero o condizioni contrattuali tutte a vantaggio del datore di lavoro, pur di infilarmi qualche spicciolo in tasca.

Il sentiero per l’illegalità è una scala i cui gradini sono quei piccoli compromessi che quotidianamente accettiamo con chi detiene il potere economico. E’ questo il jemais vu che la compagnia del collettivo Lunazione prova a tutti i costi a curare con la terapia del teatro. Se “la memoria è un ingranaggio collettivo” e il teatro è tale quando assolve ad una funzione sociale, Jamais Vu ottempera a pieno a questo compito nella sua lotta contro l’oblio costituito.

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