“Macinare chilometri per raggiungere se stessi. Mettere in fila i passi, spolverare i ricordi, reggere il peso di uno zaino ingombrante e di una vita frantumata che fatica a ricomporsi. Ma soprattutto ascoltarsi. Conoscersi. Perché l’arrivo sia una nuova partenza. Perché la fine sia il vero inizio”.
Questa citazione è mia. Non sono una megalomane egocentrica, tranquilli, e di certo non posso vantare il talento di Emily Dickinson. Ho solo voluto lasciare una traccia, una mia traccia. Affermare la mia presenza. Perché questo è ciò che mi ha lasciato il film Wild. L’urgenza di esserci, il bisogno di perdonarsi.
Il film, diretto da Jean-Marc Vallée, (il regista di Dallas Buyers Club) racconta la vera storia di Cheryl Strayed, una donna dal passato turbolento, che, dopo la morte della madre, perde il controllo della sua vita, annullandosi tra sesso occasionale e droghe pesanti. Abbandonata anche dal marito, Cheryl decide di fare un viaggio alla scoperta di se stessa, percorrendo a piedi, in solitaria, la Pacific Crest Trail, un tratto di 1.600 Km dal deserto del Mojave fino al Ponte degli Dei, al confine dello Stato di Washington. Con uno zaino troppo pesante e delle scarpe troppo strette, Cheryl inizia il suo cammino, attraversando deserti polverosi, paesaggi scoscesi, distese innevate e fiumi impervi. Ad accompagnarla in questo lungo viaggio ci sono i suoi ricordi, una carrellata di flashback nostalgici che raccontano le sue cicatrici, il suo dolore, e l’immenso amore per la madre scomparsa prematuramente.
Reese Witherspoon, che in Wild interpreta il ruolo di Cheryl Strayed, riesce a interpretare in maniera convincente il disagio esistenziale della protagonista, la sua diffidenza verso gli altri e il suo bisogno disperato di guarire dal dolore.
Il film non è perfetto. Mancano i grandi scenari e alcune dinamiche introspettive sono piuttosto stereotipate. Però la scelta narrativa di centellinare il dramma attraverso il flashback, a parer mio, funziona. Come funzionano i monologhi ad alta voce, le citazioni a ogni traguardo, i dubbi e le incertezze su quello che si sta facendo. Perché alla fine, ciò che conta, è muoversi, andare avanti, avanzare, anche se tutto quello che si riesce a fare è solo un passo. Ciò che conta veramente è salvarsi, afferrare la propria vita. Così imprevedibilmente vicina, così pienamente presente.