Cattedrale di Carver – microdiapositive di vita

Ti piacciono le storie lineari con un inizio e una fine? Non leggere Cattedrale di Carver.

Ti piacciono le storie con una trama classicamente da “comfort zone”? Non leggere Cattedrale di Carver.

Ti piacciono le storie autoconclusive e autosostenibili? Non leggere Cattedrale di Carver.

Se questi presupposti non ti interessano, allora stai per leggere una delle raccolte di short stories più coinvolgenti ed originali che tu abbia letto finora.Prima di entrare nel cuore della recensione permettetemi un piccolo preambolo sulla letteratura americana, “quella sconosciuta” per me, almeno fino a qualche mese fa. Gli scrittori americani hanno una dote naturale, come la musicalità degli inglesi, la puntualità degli svizzeri e la napoletanità dei napoletani, e cioè la forte ed intensa capacità visiva.

Da quando mi sono avvicinata alla letteratura americana contemporanea ho sempre avuto questa netta sensazione: è come se ogni libro fosse geneticamente predisposto ad una sceneggiatura, anzi, fosse proprio una “sceneggiatura camuffata” (come le autobiografie camuffate arabe). La forte componente filmica accompagna con estrema naturalezza e disinvoltura (che vi cito a fare Stephen King) sia Paul Auster, che Philiph Roth che, per l’appunto, Raymond Carver.

Ecco cosa sono questi micro-racconti raccolti in Cattedrale di Carver: diapositive.

Diapositive di vita, pezzi di vissuto violentemente estorti ai personaggi. Carver scava nell’intimità di ogni protagonista e ne estrae diamanti grezzi che lascia a noi il compito di lavorare. Ma noi li vediamo vividamente, tanto da ricrearceli con  la nostra fantasia in un batter d’occhio. Non mi è mai stato facile come leggendo “Cattedrale” di Carver, immaginarmi volti, ambientazioni e azioni. Immagini filmiche, inquadrature cinematografiche che riprendono dettagli di vita quotidiana distintamente made in USA.

Sono attimi (apparentemente) banali, non classicamente topici, non eclatanti. Ma è lì che si nasconde la vita vera, i momenti di epiphany joyciana, in cui l’esistenza vira improvvisamente come su un cambio binario che ne determina ineluttabilmente la direzione.

Scrive Francesco Piccolo in prefazione alla mia edizione:

E il miracolo che compie Carver con il suo modo di scrivere racconti, è che ciò che riesce a comunicare non riguarda tanto la letteratura, ma la  vita. Perché la letteratura è un processo di elaborazione di eventi decisivi.Carver, invece, si occupa di tutti gli infiniti segmenti di vita che restano fuori (…) e quindi lui, occupando quei sentimenti, usa la scrittura per avere a che fare direttamente con l’esistenza.

Ecco che in tutti i racconti di Carver quel “qualcosa” che poi è la vita sta ancora per accadere o è accaduta tempo fa e sta a noi ricostruire il tutto, riattaccare i fili o fare con essi nuove trame e nuovi nodi. Lo scrittore attiva procedimenti deduttivi e induttivi: non ci imbocca una storia, la fa (ri)costruire a noi. Ed ecco che “microracconti fatti di nulla” diventano pellicole intere.

“Una cosa piccola ma buona”, “Penne”, “La casa di chef” e “Attenti”: tra tutti i racconti questi sono 4 mini-capolavori narrativi, 4 essenze che compongono il nostro vivere: rispettivamente disperazione (per la morte di un figlio), invidia (della vita altrui), rassegnazione (per una seconda chance ormai finita) e intimità (tra due ex coniugi, che mai possono recidere il cordone in maniera netta e definitiva). Quattro ingredienti che miscelati compongono le tinte di quel quadro che è l’America povera e sciatta di falliti e reietti reclusi in squallide cittadine durante gli anni 60/70.

Cattedrale di Carver è pura vita condensata in poche centinaia di parole. Ma non è per tutti, non è per chi vuole un pacchetto pronto e confezionato. E’ per chi il pacchetto lo fa, trovando solo gli elementi a sua disposizione: con i pochi materiali in possesso ognuno di noi può fare un incartamento diverso, ognuno può metterci il suo tocco, la sua bravura, la sua esperienza. E’ proprio questo che rende “Cattedrale” una raccolta adatta a tutti ma non per tutti.

Tu da che parti credi di stare?

 

– Raymond Carver, Cattedrale,  Einaudi, 2011, 232 pp. 

Cinzia Cicatelli: Scrivo, ovunque e comunque. Per diletto e per professione. Mi piacciono le leggende e la cioccolata. Le opere post-moderniste. Il rumore dei passi su un palcoscenico. Gli anni ’30-’40. Inventare storie. Le foto sfocate. I film con finale aperto. I viaggi in treno. L’odore delle città. L’insolito nelle persone. Il cielo.

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