Home AuthorAngelo Capasso La psicologia del collezionista di fumetti… e non solo

La psicologia del collezionista di fumetti… e non solo

di Angelo Capasso

Qual è la psicologia del collezionista? L’epiteto di collezionista è un’etichetta con cui spesso vengono bollati gli abituali lettori di fumetti. Anzi sembra quasi un assunto scontato l’associazione tra amore per la nona arte e collezionismo: in effetti l’accumulo di albi e volumetti, specie nel caso di testate seriali, si trasforma col tempo –  volenti o nolenti –in quella che è a tutti gli effetti una collezione che, se conservata con cura, può anche arrivare ad avere un discreto valore economico.

Si calcola che un adulto su tre abbia la tendenza a collezionare qualcosa, ma definirei collezionista soltanto chi ha almeno una raccolta importante, che custodisce gelosamente, su cui investe buona parte del suo denaro e del suo tempo, di cui parla spesso con  chi può condividerne la passione

La definizione di Gabriele Melli, psicologo dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva di Firenze, sicuramente ingloba molti fumettari incalliti, anche se per alcuni la collezione è solo una conseguenza accidentale di non voler perdere una storia del proprio eroe di china preferito.

Attorno al collezionismo patologico di fumetti ruotano tanti altre collezioni come quella di action figures, di card, di modellini, ma allontanandoci dalla sfera che potremmo definire nerd, le collezioni possono essere davvero le più disparate così come la psicologia del collezionista:  dalla filatelia alla numismatica, dalle cartoline alla calamite.

Negli anni settanta si iniziarono a collezionare miniassegni, negli ottanta impazzì la moda degli swatch, negli anni novanta in ogni località marina era aperta la caccia alle schede telefoniche. E queste sono solo le più “classiche“: c’è chi colleziona tagliaerba, salviette da  bar, ombrelli, battipanni, lattine di birra, tappi di bottiglie. Il californiano Ken Ballister ha collezionato oltre 17000 articoli aventi per tema la banana, arrivando a fondare l’International Banana Club Museum che conta oltre novemila iscritti e contributi gratuiti da ogni parte del mondo. Il milanese Terzo Maffei ha raccolto oltre 1500 lettere di raccomandazione autografate, raccolte poi in un libro, vera e propria testimonianza di un malcostume italiano che ha attraversato tutte le epoche.

la psicologia del collezionista di armi

Collezione di fucili: sareste tranquilli con un vicino di casa così?la psicologia del collezionista di naniUna collezione di nani da giardini: quasi quasi opterei per il tipo dei fucilila psicologia del collezionista di barbieCollezione di Barbie: in questo caso non ho dubbi! Datemi i fucilila psicologia del collezionista di pokemonCollezione di gadget di Pikachu: è fulminata dal pokemon o avrà infilato il dito in una presa di corrente?

Quest’attitudine umana alla collezione, empiricamente anche solo evidente, è sostenuta dal presidente dell’Associazione Italiana Psicologia e Psicoterapia, Carlo Cerracchio, secondo il quale “si colleziona per un bisogno di possesso, ordine, conservazione e classificazione”. Sono tutte tendenze che nascerebbero nella prima infanzia, in particolare tra i 2 e i 4 anni, età in cui si affermerebbe il bisogno di tenere dentro di sé i propri oggetti d’amore. Una prova? Gli  album di figurine Panini o le sorpresine dell’ovetto Kinder (collezioni che alcuni continuano imperituri anche da adulti). O, volendo essere più attuali, i Pokemon catturati sul gameboy e i Gormiti comprati in edicola. Saranno pure desideri instillati da brillanti strategie di marketing, ma il successo è assicurato dalla tendenza umana su cui poggiano, che c’è a prescindere. E che talvolta può diventare pericolosa, tanto che occorre fare un distinguo tra quello che può essere inteso come un sano collezionismo e uno che ha una matrice più propriamente patologica. Di norma, infatti, il collezionismo, quando consapevole, si propone come fenomeno aggregativo, con rilevanza sociale. In più l’attività di collezionare può apportare degli effetti positivi al benessere psicofisico del collezionista. Qualche esempio dei benefici del collezionare?

APRE LA MENTE: cercare oggetti, classificarli, assemblarli attiva una serie di processi mentali, quali l’indagine, la formulazione di un’ipotesi sui percorsi da seguire per trovare ciò che si vuole, la valutazione e la scelta. La conseguenza di questo lavoro è l’ottimizzazione delle proprie capacità di giudizio e decisione.
SVILUPPA L’ATTENZIONE: collezionare significa mantenere ferma l’attenzione su un tema e ciò equivale a una sorta di meditazione concreta chee porta a focalizzare i pensieri e i sentimenti. Concentrare la mente su uno o più oggetti fa variare l’attività elettrica del cervello che porta ad un senso di calma e benessere.
ACCRESCE L’AUTOSTIMA: collezionare equivale a possedere e il possesso trasmette sicurezza. Inoltre mettere insieme gli oggetti risponde a un desiderio di protezione, e il ritrovamento di un pezzo raro fa sentire bravi, capaci di farcela. Collezionare aiuta a acquistare consapevolezza sulle proprie capacità e quindi potenzia l’autostima. Significa superare il senso di inadeguatezza, imparare a conoscersi e scoprire le proprie qualità.

la psicologia del collezionista di dalmataQuesto discorso varrà anche per lei?

Ovviamente ogni medaglia ha due facce e tutti questi benefici iniziano a svanire quando l’acquisto continuo porta a riempire le stanze fino a trasformare la casa in un museo, quando il pensiero della propria passione assorbe totalmente, quando pur di acquistare il raro oggetto mancante si compromettono le proprie finanze e la vita sociale. La radici di questi comportamenti possono affondare nel feticismo: l’adorazione nei confronti dell’oggetto collezionato può rispecchiare una difficoltà di contatto con la realtà, per cui la collezione rappresenta e sostituisce il mondo affettivo, divenendo una specie di harem di oggetti dove nuove favorite rimpiazzano più antichi amori. Nel libro “Sex Collectors” lo scrittore inglese Geoff Nicholson, intervista molti collezionisti per provare che l’attività di comprare, vendere, scambiare, catalogare, accumulare qualsiasi cosa (in una parola COLLEZIONARE) è connessa direttamente alla sfera sessuale. Secondo la teoria psicoanalitica freudiana, conservare oggetti è infatti un’espressione della fase anale (da sempre chiamata in causa quando si parla di controllo e di conservazione) perché nel bambino coincide con la prima esperienza di dominio dello sfintere: collezionare, in fondo, è creare un piccolo mondo su cui esercitare una padronanza e una gestione totali. Altre volte il collezionismo è la storia di una passione che diventa un’ossessione. I sintomi ci sono tutti: meticolosità, tendenza all’ordine eccessivo, attenzione per i dettagli, ritualità. Ovviamente i casi in cui l’attività piacevole si trasforma in un bisogno assoluto, in una pratica di tipo ossessivo-compulsiva, rappresentano una minoranza. Si parla di disturbo, infatti, solo se il comportamento influisce negativamente sulle diverse sfere di vita dell’individuo impedendogli di condurre una serena e soddisfacente vita personale, professionale, sociale e se diventa un’attività per la quale vi sono delle uscite di denaro esagerate, che finiscono con l’intaccare in modo consistente il patrimonio dell’individuo. Altre volte la tendenza a collezionare è spinta da un perfezionismo patologico: sempre secondo Mellila persona che colleziona, molto spesso, perde il gusto estetico degli oggetti collezionati, per trovare soddisfazione soltanto nel raggiungimento di un ideale di completezza e perfezione”, che consiste nel possedere tutti gli esemplari esistenti dell’oggetto collezionato. Paradossalmente per rendere possibile ciò, il tema viene liberamente delimitato dal collezionista e il traguardo della completezza, o la constatazione di difficoltà eccessive per una prosecuzione, possono implicare l’abbandono o lo spostamento dell’interesse e dell’attività di raccolta su un tema diverso.

la psicologia del collezionista di bananeCosa penserebbe il buon vecchio Freud di questa collezione?

I collezionisti sono di tutte le età e le condizioni sociali, li accomuna non quello che hanno, ma quello che a loro manca.

Da psicologo mi affascinano questi risvolti psicopatologici, anche se il rischio è di etichettare chiunque abbia una passione fuori dal comune con un disturbo del DSM. Da amante e cultore della nona arte, invece, trovo sicuramente dei parallelismi col mio vissuto: è vero, la mia passione nasce nell’infanzia, quando a sei anni mi fu regalato il mio primo Topolino, così come è vero che crescendo per ogni nuova serie iniziata ho provato a recuperare gli arretrati. Le mie manco-liste sono tendenzialmente infinite e provo un’attrazione smodata, non mi vergogno a definirla feticista, per la carta stampata. Eppure me ne sbatto di primi edizioni o di stampe a numero limitato con la cover numerata, se posso acquistare semplicemente una ristampa. Trovo assurdo spendere 2,16 milioni di dollari per una storia ristampata in tutte le salse. Anziché sigillare lo spillato in una sorta di preservativo chiuso in una bacheca-scrigno, preferisco una comoda libreria accessibile a chiunque voglia sfogliarli o prenderli in prestito, perché condividere è più piacevole che conservare. L’unico vuoto che mi interessa colmare non è quello tra un numero e l’altro della serie, ma il buco nella trama tra un episodio e l’altro. Non colleziono l’oggetto, ma le storie in esso contenute. E non c’è collezione che possa imprigionarle, le storie appartengono a tutti.

La psicologia del collezionista di fumetti

Ma la penseranno tutti così? Su MangaForever trovate qualche esempio  di collezionisti estremi che hanno sicuramente un’opinione divergente: 123

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