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Romanzo i cani di babele

I Cani di Babele di Carolyn Parkhurst – Amore è incomunicabilità (?)

di Cinzia Cicatelli

Se mi fossi soffermata sul titolo del libro I Cani di Babele di Carolyn Parkhurst, probabilmente non lo avrei mai letto. Né tanto meno gli avrei dato una chance dopo aver sbirciato la sinossi o peggio ancora dopo aver visto la copertina. Ma come l’abito non fa il monaco, l’edizione non fa un libro: è una lezione che avevo già imparato con L’Amica Geniale di Elena Ferrante, che a mio parere ha un look più da “harmony” che da best seller mondiale.

Ed ecco che, mooolto perplessa, ho aperto la prima pagina del romanzo, regalatomi da un mio collega con la promessa che “piace proprio a tutti“.

Altro punto a sfavore, mi sono detta, ma era una motivazione sufficiente per incuriosirmi alla lettura.

Tengo subito a togliervi il primo dubbio: Ne I Cani di Babele non si parla di cani.

Sì, lo so che lo recita il titolo e anche in copertina risalta un bel musetto canino, ma non è così. O meglio non è proprio così. Lorelei, l’esemplare di Ridgeback protagonista del libro è in realtà un filo rosso, il filo che collega vita e morte, assenza e presenza, detto e non detto, verità e mistero.

Vi tolgo il secondo dubbio: I Cani di Babele piace davvero a tutti.

Onestamente credo non possa non piacere (a meno che chi legge non sia così inasprito dal cinismo da avere un cuore di pietra). L’equilibrio è il punto forte di questo libro: dolce ma mai melenso, triste ma mai angosciante, ironico ma mai irriverente, bizzarro ma mai assurdo.

E quando simili ingredienti vengono dosati con perfezione, il risultato non può che essere una squisitezza letteraria, un piccolo capolavoro in prosa tutto da gustare, pagina per pagina.

Se dovessi continuare con le metafore gastronomiche, direi che I Cani di Babele somiglia alla tua torta preferita fatta dalla nonna, quella che profuma di intimità e ha il sapore di casa e di ricordi. In fondo lo sai che ci sono mille altre torte più buone, preparate da mani più sapienti ed esperte, ma quella fatta dalla nonna resta quella fatta dalla nonna. E quest’è.

Unicorno e i cani di babele

Ok arriviamo al punto: di che parla I Cani di Babele di Carolyn Parkhurst?

Di un amore spezzato. Di Paul che perde la moglie improvvisamente (la trova morta in giardino) e non sa farsene una ragione. Ha solo una possibilità per scoprire la verità: insegnare al suo cane a parlare. Lui, esimio linguista e professore universitario, si dedicherà anima e corpo a questo unico nuovo scopo: far confessare Lorelei, unica testimone del suo amore scomparso. E poi ci sono i ricordi. Gli aneddoti di una banale vita insieme, facile e difficile tra litigi e fughe d’amore dove niente è speciale e tutto è un po’ speciale, come succede ad ognuno di noi.

Paul si addentra nell’irrazionalità della moglie, quasi fosse un oscuro ma affascinante girone infernale. Alla fine, Paul arriva ad accettare il mistero profondo della consorte, forse il modo più vero di continuare ad amarla. La Parkhurst tiene avvinto il lettore senza consentirgli di allentare un istante l’emozione, perché con Paul ha creato un narratore indimenticabile e commovente.

Dimenticate un attimo le passioni da Cime Tempestose, lasciate perdere il romanticismo di Romeo e Giulietta, I Cani di Babele sono il regno della commozione, della delicata dolcezza che si nasconde sotto la superficie della quotidianità. Leggendo queste pagine non puoi che sentirti costantemente in bilico emotivo su un sottilissimo spago, mentre ogni sillaba compone un puzzle che forse è destinato a comporsi, o forse no…

Un libro da leggere e per leggerti, che ti accompagna piacevolmente durante un viaggio e, perché no, anche sotto all’ombrellone 😉

Buona lettura!

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