Nome: Emanuele Palamara
Età: 26
Paese d’origine: Frattamaggiore
Studi: mi sono diplomato al Liceo Scientifico “C. Miranda” e adesso studio Lettere all’Università di Roma, percorso che ancora non ho concluso perché ad un certo punto della mia carriera universitaria ho preferito cominciare a lavorare su indicazione di un mio docente. Mi mancano pochi esami alla laurea, ma do sempre priorità al lavoro quando mi chiamano per fare un film; anche perché mi dovrei laureare per poi comunque mettermi a fare quello che faccio. La laurea a questo punto diventa una grande soddisfazione, ma non mi abilita al lavoro che voglio fare.
Talento: regista
Come è nata la tua passione per il cinema?
La mia passione per il cinema è nata all’improvviso, infatti inizialmente dopo il liceo mi iscrissi ad Ingegneria Navale. Poi tutto è nato per caso con un corso di recitazione amatoriale, ma che mi è servito a capire quanto amassi il cinema. Anche se avevo già preso parte a delle recite, ho capito che volevo stare dall’altro lato e iniziai a subire il fascino della macchina da presa, della produzione, soprattutto della regia. Per questo mi sono trasferito a Roma, dove mi sono iscritto all’università e ho cominciato ad inserirmi e a lavorare nel settore cinematografico.
Quando è che hai capito che un po’ di stoffa ce l’avevi?
Non l’ho capito. Quando chiusi “Papà”*, il mio primo cortometraggio, lo vidi e lo volevo buttare. Mi dicevo “Fa schifo. Dove mi presento con questo ‘coso’?”. Mi dicono che è una reazione normale, un rifiuto naturale dell’artista verso la sua opera. Quando le persone l’hanno visto e mi hanno detto che era bello o valido, grazie a loro ho cominciato ad apprezzare il mio lavoro, perché iniziavo a rendermi conto che avevo creato qualcosa che comunque piaceva. Insomma ho capito che “qualcosa la posso raccontare” attraverso gli altri e i loro apprezzamenti. Sicuramente grazie all’approvazione del pubblico dei festival, ma soprattutto prima, quando lo mostravo ad amici, registi, sceneggiatori e gli addetti ai lavori.
Premi vinti?
Il primo è stato “Corto Lazio”, che è stato il punto di partenza, perché era un concorso di sceneggiatura che mi ha permesso di avere il budget per finanziare la realizzazione effettiva del corto “Papà” (che poi è stato in parte integrato da un produttore). In un anno ho partecipato a più di una settantina di festival, di cui ne ho vinto una trentina.
Come è cambiato il tuo rapporto con la telecamera rispetto all’inizio?
Sicuramente è un percorso che si evolve e “ti evolve”. Pur avendo girato già delle cose mie da regista, sto comunque facendo una gavetta come aiuto alla regia. Imparo delle cose quando giro da solo e contemporaneamente assimilo delle cose quando lavoro da assistente. Per esempio, quando ho lavorato con Garrone ho appreso il suo modo di lavorare, il suo approccio, sia nel dirigere gli attori che nel rapporto con la macchina da presa. Tecnicamente il mio cortometraggio lo girerei in maniera completamente diversa, però penso che è un rapporto che tende a maturare sempre di più. Quella è la tua visione ed è lì, in quel fotogramma, in quel quadro. Secondo me la cosa importante non è solo quello che vedi, ma soprattutto quello che lasci fuori. Tu crei una scena, metti in scena un evento e scegli un’inquadratura: decidi cos’è che vuoi fare vedere di quel momento e cosa tagliare fuori, e quella è la tua visione. Il tuo rapporto con la macchina da presa cambia mano a mano che cambia la tua visione.
C’è qualche regista che ti ispira particolarmente?
Sicuramente ci sono dei registi che ammiro, che mi piacciono, però non mi ispiro a nessuno di essi. Aspiro ad avere uno stile mio, altrimenti sarei semplicemente un emulatore. Vedo tanti Sorrentino, tanti Garrone, però così è come se non mettessi niente di tuo. Però sicuramente tra i registi nuovi che apprezzo c’è Garrone. Tra i vecchi c’è Billy Wilder e Martin Scorzese.
Tra i tuoi vari lavori qual è quello a cui tieni di più?
Ne ho fatto ancora pochi, però forse tengo particolarmente al primo cortometraggio, perché è un lavoro diverso rispetto al videoclip. E’ come se avessi simulato un lavoro vero da film. Però mi piace dire che il lavoro a cui tengo di più è quello che devo ancora realizzare. Al mio prossimo corto tengo molto, l’ho scritto prima di “Papà”, ed il corto con cui è nata l’amicizia tra me e il mio sceneggiatore. Questa sceneggiatura l’ho tenuta ferma perché l’ho scritta quando non avevo ancora esperienza sul set e non volevo rovinarla. Adesso invece mi sento pronto per girarla. Un corto sulla cultura, sulla napoletanità, sull’amore tra fratello e sorella. E’ soprattutto un corto in cui si parla dell’amore tra un artista, in questo caso un cantante, e il proprio pubblico e cosa succede quando quest’ultimo viene a mancare. E’ un tema che mi incuriosisce e mi appartiene.
Credi nel cortometraggio come linguaggio?
Come linguaggio ci credo, si può comunicare con esso. Per me è importante sottolineare che il cortometraggio non è un film, è un cortometraggio. Chiudi tutto in quei 10-15 minuti. Purtroppo deve essere uno step perché il cortometraggio non ha mercato, va solo ai festival. Quindi non si può basare la propria carriera sul cortometraggio. Quindi diventa una gavetta per tutti. Però è un linguaggio completo, che mi attrae molto anche perché è complesso e necessita grosse capacità di sintesi. Spesso ci sono registi che girano corti come se fossero parti di film, invece credo che il corto debba avere un inizio e una fine, è proprio un messaggio da mandare e racchiudere.
Cosa consiglieresti ad un ragazzo che vuole lavorare nel mondo del cinema?
Per me qualsiasi lavoro bisogna farlo con determinazione. Io credo molto nel lavoro, se una cosa la fai bene, con passione, con impegno, alla fine riesci ad emergere. Se fai dei lavori, perché sei messo là da qualcuno, alla fine qualcosa non va, non funziona. Il consiglio che posso dare agli altri e che do a me stesso è di avere molta volontà e di fare tutto con la massima serietà. Quello che ho capito è che la teoria serve, ma nel caso della regia non impari ad essere regista fino a quando non vai sul set.
* Il cortometraggio “Papà”, diretto da Emanuele Palamara, resterà online su CULT! per due settimane. Non perdetelo!
“L’incredibile vigilia di natale del dottor Rocca, presidente di una multinazionale, e di un barbone. Incrociandosi ad un semaforo i due si ritroveranno ad essere padre e figlio.”
Premi
Cortolazio – MIGLIOR SCENEGGIATURA
La Cittadella del Corto – MIGLIOR ATTORE (ex aequo Luciano Scarpa e Remo Remotti)
Artelesia Festival – MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA
Movieclub Film Festival – MIGLIOR SCENEGGIATURA
(presidente di giuria Ettore Scola)
Dieciminuti Film Festival – MIGLIOR ATTORE (Remo Remotti)
Premio Internazionale Dino De Laurentiis – MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
Bagnoli In Corto – MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
Fracta Short Film Festival – PREMIO DEL PUBBLICO
CineFort Film Festival – MIGLIOR ATTORE (Remo Remotti)
Corti OFF Premio La Pellicola d’Oro – MIGLIOR CORTOMETRAGGIO 2° Classificato
Capua Cine Festival – MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
Premio Bernardino Zapponi – MIGLIOR CORTOMETRAGGIO 2° Classificato
Premio Napoli Cultural Classic – MIGLIOR ATTORE (Luciano Scarpa)
Cinema Avvenire Film Festival – MIGLIOR SCENOGRAFIA
River Film Festival – MIGLIOR SCENEGGIATURA
Floridia Film Festival – PREMIO SPECIALE
Festival Video Corto Nettuno – MIGLIOR CORTOMETRAGGIO(2° Classificato), MIGLIOR ATTORE (Remo Remotti), PREMIO DEL PUBBLICO, MIGLIOR TITOLI DI TESTA E CODA
Gargano Film Festival – MENZIONE SPECIALE
Modena in Corto – MIGLIOR COLONNA SONORA
Asti Film Festival – PREMIO DEL PUBBLICO
Cast & Credits
regia Emanuele Palamara
soggetto e sceneggiatura Pietro Albino Di Pasquale, Emanuele Palamara
cast Remo Remotti, Luciano Scarpa, Simonetta Solder
produzione Ascent Film
fotografia Gianni Chiarini
montaggio Donatella Ruggiero
suono Maricetta Lombardo
scenografia Cristina Del Zotto, Giada Esposito
costumi Monica Celeste
musiche Enrico Melozzi
casting Sara Casani
aiuto regia Manfredi Bruno
organizzazione Claudia Cravotta, Morena Amato, Davide Lucarelli, Davide Giovannini
paese e formato Italia – HD – 16:9 – colore