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Clitennestra Roberto Andò Milano

Clitennestra – la regina tradita, non traditrice

di Cinzia Cicatelli

Clitennestra di Roberto Andò in scena presso il Teatro Piccolo Strehler dal 6 all’11 febbraio nasce dal desiderio di rivalutare una delle figure comunemente considerate più negative della letteratura greca. Questo è quello che il mito ci racconta: al contrario della fedele e paziente Penelope, la vendicativa Clitennestra trama con il proprio amante Egisto l’assassinio del marito Agamennone al suo rientro dalla guerra di Troia dopo 10 anni, per vendicare l’inganno e l’omicidio della figlia Ifigenia, crudelmente sgozzata sull’altare per rendere favorevoli i venti alla flotta dell’esercito greco.

Clitennestra Agamennone teatro

Spesso si tende a dimenticare un particolare e cioè che Clitennestra non attua il regicidio per amore del proprio amante, lei sceglie di allearsi con Egisto perché condividono, seppur per ragioni diverse, lo stesso odio viscerale per Agamennone. Non è la passione amorosa a muovere Clitennestra, tutt’altro, è il dolore dovuto alla perdita della primogenita e alla sofferenza causata dall’inganno del suo stesso marito.

Clitennestra si fidava di Agamennone e gli aveva creduto quando le aveva annunciato che Ifigenia era chiamata all’accampamento per sposare Achille, e invece è stata tradita. Eppure, nonostante questo, la principessa di Sparta viene spesso additata come una adultera assassina.

L’immolazione della vergine sacrificale che serve a placare gli dei e a renderli favorevoli verso le sorti di una battaglia è un topos abbastanza utilizzato in letteratura (l’ultimo che mi viene in mente è il sacrificio di Shireen ad opera del padre Stannis Baratheon in Game of Thrones) ed ogni volta il focus è sempre sul “padre immolatore”, di solito dilaniato dal dilemma tra la sfera privata e quella del suo ruolo “politico”. Le ragioni del re vengono approfondite, eviscerate, trovando terreno fertile per la nascita di un’empatia verso il carnefice. La madre della vittima, invece, in qualche modo è sempre ritenuta colpevole: o di essere complice del folle assassinio o di non aver fatto abbastanza per salvare la figlia (cosa di cui, ad esempio, Elettra accusa la madre nella pièce).

Questo tipo di lettura mi sembra figlia di un retaggio piuttosto patriarcale: l’uomo, il padre, il re viene sempre parzialmente giustificato per il suo empio operato e, di conseguenza, in parte assolto. Come lo stesso Tóibín (dal cui libro tratto La casa dei nomi è tratta l’opera) afferma in una nota:

“Tuttavia, riuscivo a percepire anche le necessità di Agamennone, la sua debolezza e poi la sua risolutezza”.

D’altra parte non c’è mai una vera assoluzione per la donna, la madre, la regina, da cui ci si aspetta al più un altro sacrificio, il suo, oppure un dolore portato con stoica sopportazione per tutta la vita.

Clitennestra agisce invece di subire, ma non è folle: la sua è una lucida macchinazione, il compimento di un giuramento fatto appena Ifigenia ha esalato l’ultimo sospiro. Questo è un punto molto importante per darle la dignità che merita.

Nella rivalutazione del personaggio, l’obiettivo dell’opera è quindi solo parzialmente riuscito: finché si giustifica anche in minima parte l’uomo (il re), la donna (la regina) sarà sempre e solo la “pazza furiosa” che non riesce a domare le sue pulsioni. La decisione di Agamennone viene, infatti, presentata come una scelta presa in seguito ad una tormentata ma profonda ponderazione, le azioni di Clitennestra sono solo dettate da cieca e furiosa vendetta. Ragione vs pulsione. La scelta di focalizzarsi solo sulla drammaturgia del dolore, di cui è maestro Tóibín, non riesce a far uscire Clitennestra dalla bidimensionalità a cui il mito la relega. Manca la tenerezza, il tormento, la risolutezza traballante prima dell’assassinio, che mi aspetto da… un essere umano. Avrei voluto vedere sul palco una Clitennestra meno “tradizionale”, meno “iconica”, più vera, o meglio, più verosimile.

Clitennestra Isabella Ragonese

Concentrandoci sulla messinscena, le doti di Isabella Ragonese sono impeccabili: se l’obiettivo era tirar fuori il “furor” del suo personaggio, ci è riuscita perfettamente. Encomiabile anche la performance di Ifigenia, interpretata da Arianna Bacheroni, con una voce soave e d’altri tempi molto convincente nel suo monologo di accettazione del sacrificio. Anche la voce possente e suadente di Agamennone, Ivan Alovisio, è riuscita a trasmettere forti emozioni, soprattutto quando i toni si affievolivano in sussurri amorevoli verso la figlia sacrificale.

Uno spettacolo che, nonostante le ambientazioni contemporanee a tratti un po’ horror inframmezzate da balli su musiche moderne, definirei “classico”: il mito non viene tradito. Clitennestra ancora una volta sì.

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