Non si può, nel mio caso, dire con precisione QUANDO l’arte mi abbia tirato a sé: così come il vento fa con le foglie, io, ammaliata, mi facevo trasportare con curiosità. Mi ha guardato in più occasioni e sono state numerose, ma non si può, il più delle volte, con una passione, dire quando questa abbia inizio se non con l’inizio di sé stessi. Non posso negare, dopotutto, che ci sono stati momenti salienti e incontri particolarmente fuorvianti, tra i quali annovero il mio primo ingresso alla Galleria dell’Accademia , quando tra il divertimento giovanile mi accingevo a parlare con i miei compagni e, voltandomi, ebbi la visione del “David”. Molte persone si chiedono quale sia l’emozione provata dinnanzi a capolavori, ma bisogna ammettere che non tutte le emozioni hanno un nome o una voce, molte di queste sono silenti.
Ancora, sempre nella galleria, nel percorso per giungere al David, il tormento che appanna lo sguardo, che è ancora così forte, di quel grande uomo che fu il Michelangelo e che avvolge quelle figure che tentano di liberarsi con sforzo dalla materia: il cosiddetto “non finito” di Michelangelo. COME? Probabilmente il mio amore nasce con la scultura, in quel tentativo di riprodurre, con sforzo, la figura umana, i suoi tratti, le sue emozioni, le sue debolezze, le sue angolature.
Dire DOVE questo trasporto nel mondo dell’arte sia avvenuto è altrettanto difficile, essendo stati non pochi i luoghi visti e ancora le culture, ma soprattutto le “rovine”, che, immerse nei luoghi, sono ancora testimoni di un passato glorioso e che non può essere facilmente spento. E’ probabilmente nel silenzio che nasce un amore per le cose mute e che a fatica tentano di parlare di sé, del loro mondo, della loro storia. E’ nella distruzione che si colgono i mutamenti, spesso difficili, ma talvolta necessari; così come nella vita di ognuno di noi, il mutamento, che è sempre sinonimo di negatività, il più delle volte significa vedere la luce.
E, infine, PERCHE’ l’arte, perché l’archeologia, perché qualsiasi forma di espressione dell’io umano? Perché, in fondo, non siamo altro che questo: il nostro io, il nostro modo di esprimerci e le forme attraverso cui scegliamo di farlo. Posso concludere dicendo che, con ogni probabilità, non è stata solo l’arte a chiamarmi, ma sono stata pure io, che, nel silenzio assordante, ho accolto con vigore un richiamo che fatica a spegnersi nonostante in molti si mostrino sordi dinnanzi ad essa. Ma l’arte non ha bisogno di voce, basta guardarla e restare in silenzio, perché solo così la si può ascoltare.
Per questo la rubrica che gestisco è pratica. Perché, insieme a me, procede dal mondo antico a quello quotidiano in un modo che tenta di spiegarne i fenomeni, le curiosità e tenta di dare voce all’arte in un modo sempre diverso.