A 20 anni dalla scomparsa del gallerista Lucio Amelio, il Madre dedica la rassegna Dalla Modern Art Agency alla genesi di Terrae-Motus (1965-1982). Documenti, opere, una storia ad uno dei più importanti personaggi partenopei che ha contribuito a mantenere la città tra i centri culturali più attivi e vivaci dell’arte contemporanea. Dagli anni Sessanta, fino alla sua scomparsa nel 1994, Amelio rese Napoli un’importante punto di incontro tra gli artisti nostrani e quelli di fama internazionale.
La prima sala del museo accoglie le opere di Manzoni, Fontana e Burri per poi proseguire con artisti come: Kounellis, Merz, Paolini, Pascali, Lublin, Buren, Cragg, Ritcher, Pistoletto, Gilbert and George, Acconci, Twombly, Ontani, Raushemberg, Tatafiore, Pisani, Clemente il Gruppo XX, collettivo femminista, Beuys e Warhol, per finire con un emblematico ritratto di Lucio Amelio firmato Schifano. Tutte personalità di rilievo che fanno riflettere su come Napoli, volutamente nota soprattutto per le sue ataviche problematiche, sia di fatto un covo avanguardista in costante tensione verso l’esterno.
Lo stesso gallerista durante un’intervista descrive la città, tradizionalmente nota per il sole, come una cava, un tunnel che la percorre tutta e la scuote nell’intimo. Le scosse sono quelle che hanno portato alla creazione di Terrae-Motus, realizzato in seguito alla catastrofe che colpì l’Irpinia nel 1980. Amelio ebbe l’idea di realizzare: “La prima collezione in Europa di artisti che operano su una città negli anni Ottanta”. Radunò per l’occasione i migliori esponenti dell’arte di quegli anni affinché collaborassero in solidarietà all’evento, continuando anche in questa occasione, il dialogo tra gli artisti napoletani ed il filone internazionale. Essendo un progetto ad hoc, ogni artista doveva attraversare la Cava, assimilarne le sofferenze e l’opera sarebbe stato il risultato di questa esperienza con la città.
Nascono così lavori quali: Vesuvius Circle di Richard Long, composta da pietre raccolte alle pendici del vulcano, il trittico Fate Presto di Warhol, divenuto immagine simbolo della collezione, o Terremoto a Palazzo di Beuys dove per palazzo è intesa la testa dell’uomo e tutti gli squilibri da essa derivanti.
Volontà di Amelio fu di usare il pretesto dell’arte per focalizzare l’attenzione mediatica sul disastro affinchè la politica aiutasse la popolazione terremotata senza specularci sopra, come di nostro costume.
Cosa che non accadde. Puntualmente.
Ad un giornalista che chiedeva come mai, nei primi giorni di soccorso fossero stati completamente abbandonati, un contadino di Balvano rispose: “Non è vero che ci hanno abbandonati; essi non ci hanno mai conosciuti”. (Nicola Pacelli, Telesia e la Valle Telesina, Euro Stampa Libri, Napoli, 1980, p. 118)
Questa testimonianza designa chiaramente il quadro del Mezzogiorno d’Italia: un territorio violato e dimenticato ma che troverà pace quando le persone acquisiranno fiducia nelle proprie capacità, e non in quelle di San Gennaro. In merito al sud Italia, un filmato di Joseph Beuys alla fine della mostra mi ha fatto riflettere:
“Ho un rapporto naturale col Mezzogiorno perché qui c’è ancora il popolo, distrutto invece in Europa dall’americanizzazione avvenuta subito dopo la seconda guerra mondiale” .
Suo era l’obiettivo (peccato per la prematura morte nel 1986) di:
“Fare di Napoli un Centro Mondiale d’Arte. Napoli sarà la nuova capitale dell’arte dove sarà possibile sviluppare un nuovo concetto di arte più vasta, che esca fuori dai musei creando la vera democrazia ottenibile quando ognuno prenderà in mano la propria vita, diventandone diretto responsabile.Il Mezzogiorno è il luogo dove vi sono le premesse necessarie per far si che ciò avvenga”.
Joseph Beuys amava l’Italia per il clima e per la gente, infatti scelse Bolognano come sede per lo sviluppo di Difesa della Natura, un progetto reso possibile dal rapporto di stima reciproca tra l’artista e i baroni De Domizio Durini che lo supportarono in ogni sua iniziativa. Ma qualche anno fa, la baronessa Lucrezia ha donato l’intera opera dell’artista ad un museo di Zurigo, perché in Italia nessuno era interessato ad esporre né tantomeno a comperare i suoi lavori.
Come reagirebbe Beuys davanti a tutto questo?
Riporrebbe ancora fiducia nel popolo italiano o la penserebbe come Ferdinando Pozzati Piva, il cui nodo centrale nelle sue arringhe è che noi italiani mai siamo stati popolo, tantomeno cittadini, ma persistiamo nella sudditanza più accanita? Con una certa fierezza, aggiungerei.
Come reagirebbe Lucio Amelio se vedesse in che stato riversa Terrae-Motus alla Reggia di Caserta?
Nelle regali stanze, umido e muffa incombono a poco a poco sui nomi più importanti dell’arte contemporanea. Durante la visita mi ha fatto da cicerone uno dei dipendenti, spiegandomi come la condizione di degrado della Reggia sia il risultato di un’incuria protattasi da oltre 15 anni. Ora i lenti restauri, arrivati come da copione troppo tardi, costano 20 milioni di euro della Comunità Europea, quando con una periodica manutenzione ne avremmo risparmiati almeno il quadruplo. Italia.
Ho dovuto aspettare l’inaugurazione del Madre per vedere esposta Fate Presto di Warhol, poiché nella sede della Reggia era riversa contro il muro assieme al quadro di Keith Haring il quale non ho potuto vedere frontalmente; inoltre per poter fotografare l’opera di Boltansky siamo ricorsi alla torcia del cellulare, poiché la luce della stanza era fulminata. Provate a indovinare dalle foto qual è.
Facciamo presto, perché l’emergenza sud non è ancora finita. E noi non possiamo morire prima del tempo accettando passivamente tutto questo stato di abbandono.
Dobbiamo cominciare a prenderci cura di ciò che costituisce da sempre ogni identità: la cultura.