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Processo a Erri De Luca – Del perché siamo tutti Charlie, ma non ancora pronti ad essere Erri

di Claudia Esposito

7 gennaio 2015: l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo sconvolge il mondo occidentale. L’assalto armato alla rivista parigina diventa nell’immaginario collettivo un’aggressione inaccettabile alla cultura della libertà di parola, di stampa, di satira, di espressione in generale. Folle oceaniche si sono riversate nelle strade della capitale francese, sfilando per affermare il proprio diritto al dissenso, con matite e penne simbolicamente portate in alto, al grido di “Je suis Charlie”. Anche in Italia abbiamo fatto a gara per esprimere la nostra vicinanza a coloro che sono oppressi da chi tenta di limitare la stampa e la cultura, da chi si arroga il diritto di controllare le menti e le opinioni.
je suis charlieLo ammetto: mi sono sentita fiera, all’inizio, di assistere a una tale partecipazione da parte del mio paese. Ho pensato che forse un evento così sconvolgente avrebbe potuto catapultare nel mondo reale persino gli italiani indolenti, anestetizzati, rimbambiti dagli strilloni in tv e dalle bagarre mediatiche. All’inizio.

La commozione ha poi lasciato spazio alla perplessità, nel vedere che alzavano prepotenti le matite anche quelli che fino a poche settimane prima ritenevano pericolosi o ingiusti comici, artisti, personaggi televisivi che si ̔prendevano la libertà ̕ di criticare troppo duramente questo o quel politico. Cosa stava succedendo? L’assassinio dei giornalisti di Charlie Hebdo era un boccone tanto amaro da convertire persino lo zoccolo duro dei qualunquisti e perbenisti? Allora c’è speranza per il mondo!

La perplessità ha infine lasciato spazio all’indignazione nel vedere l’Italia, che ha sempre chinato il capo di fronte alle ̔purgheʼ e alle eliminazioni di personaggi pubblici senza battere ciglio, strumentalizzare la strage parigina per affermare una superiorità morale e culturale che non le appartiene, per autoassolversi dai propri peccati di repressione, censura, punizione delle menti realmente libere. Vero, negli ultimi anni non abbiamo assistito sul nostro territorio a sparatorie o assalti ad intere redazioni, ma abbiamo operato un ben più efficace repulisti senza sangue, senza scalpore, perché sparare alla libertà non fa rumore quanto sparare a dodici uomini. Qualcuno potrebbe suggerire che dagli errori si impara. Non è così per noi, almeno non ancora.

Mi sono confrontata con le persone che avevo attorno e – incredibile!  ̶ a tutti interessava dell’assalto a Charlie Hebdo, tutti si sentivano realmente paladini della libertà di opinione, ma quasi nessuno trovava scandaloso o perlomeno strano quello che sta succedendo a Erri De Luca. Molti non sapevano nemmeno di cosa stessi parlando. Ma come? L’Italia che è #Charlie non trova necessario, quasi un imperativo morale, informarsi per difendere la libertà d’espressione di un proprio figlio eccellente?

erri-de-lucaErri De Luca sta affrontando un processo, a seguito della denuncia emessa dalla Ltf, la società che sovrintende alla costruzione della linea Torino-Lione nei cantieri di Chiomonte. In un’intervista all’Huffington Post, infatti, lo scrittore si era dichiarato contro la Tav e aveva parlato di “sabotaggio come unica alternativa”:

“Mi arrogo però una profezia: la Tav non verrà mai costruita. Ora l’intera valle è militarizzata, l’esercito presidia i cantieri mentre i residenti devono esibire i documenti se vogliono andare a lavorare la vigna. Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa.”

A seguito della denuncia lo scrittore è stato incriminato per “istigazione a delinquere, finalizzata al danneggiamento”. Erri De Luca sul suo profilo facebook ha parlato simbolicamente di un processo per “reato d’opinione”, ma è stato immediatamente smentito dai pm, in quanto il reato d’opinione sarebbe “statico”, mentre le parole dello scrittore napoletano (e non si tratta di opinioni?) avrebbero “influenzato determinati soggetti a commettere azioni delittuose”.Fermo restando che un’opinione può sempre scaldare gli animi – e meno male!  ̶ e che gli stessi vignettisti di Charlie Hebdo non ci andavano giù leggeri con le loro, di opinioni, com’è possibile che gli italiani dalle matite alzate non ritengano assurdo un processo simile? De Luca continua a difendere le proprie convinzioni, sostenendo che la parola “sabotare” è una parola nobile, usata persino dal più pacifista dei ribelli, Gandhi, e che non ha mai commesso atti violenti, né li ha incoraggiati. Riguardo alle reti tagliate nei cantieri della Val di Susa, lo scrittore spiega che molte di esse sono abusive, per cui utilizzare delle cesoie per reciderle equivarrebbe in una situazione del genere a ripristinare la legalità.

L’articolo 21 della Costituzione Italiana recita:

Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Vero è che ogni diritto prevede delle responsabilità e non si può incitare all’odio, alla violenza, alla discriminazione, all’illegalità con le proprie parole. Resta da capire se Erri De Luca ha compiuto un simile reato. E se a quel punto non dovrebbero essere punibili moltissime affermazioni dei nostri stessi politici, che con noncuranza, motti di spirito o rabbia quasi furiosa hanno spesso oltrepassato il limite. Senza scendere nella querelle legale, per la quale sarebbe necessario un esperto del settore, io non posso fare a meno di domandarmi se sia giusto incriminare qualcuno perché pensa e dice che un’opera pubblica  ̶ che gli abitanti della zona fortemente contrastano, asserendo che distruggerebbe la loro qualità di vita  ̶ va osteggiata e sabotata. Insomma, Erri De Luca queste cesoie in mano non le ha mica prese. E allora di cosa parliamo se non di reato di opinione e di libera parola?

Ma soprattutto, perché a nessuno sembra interessare più di tanto la questione?
processo a erri de lucaForse siamo tutti Charlie perché Charlie non è qui in Italia. Charlie si occupa di grandi questioni che non riguardano il nostro piccolo e miope paese, un paese che non ha la libertà che pure sente sarebbe giusto avere, un paese che corre a schierarsi dalla parte di uno o dell’altro senza costruire una propria identità culturale, democratica e liberale. Siamo tutti Charlie perché ci sentiamo orfani di libertà, quella vera e consapevole. Siamo un paese che pretende la “satira equa”, come se non si trattasse di un paradosso strutturale, e che ha bisogno di dimenticare che abbandona i propri figli che rivendicano il diritto al dissenso. Forse essere Charlie legittima le nostre paure e la nostra diffidenza nei confronti dello spettro musulmano, del diverso che non condivide i nostri stessi valori. Essere Charlie ci permette di continuare ad essere ciò che siamo, sentendoci nobili col minimo sforzo.

Forse essere Charlie ci fa sentire meno colpevoli perché ancora nessuno di noi è in grado di alzare lo sguardo sulla propria immagine allo specchio e riconoscere che non è Erri De Luca, non è mai stato Peppino Impastato, né Salman Rushdie, né Giancarlo Siani, né Ilaria Alpi, né gli sconosciuti che vengono allontanati, derisi, zittiti, declassati perché contrari al pensiero dominante.

Non siamo un paese che lotta abbastanza per la libertà d’espressione, preferiamo sognarla e prendere in prestito quella di altri.

Forse il punto è che, mi dispiace dirlo, ma non sappiamo nemmeno cosa significhi essere Charlie.
tout est pardonne

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