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Un emigrante 2.0 a GRANADA

di i-Cult

Nome: Francesco Del Prete

Età: 32

Professione:  Ah, che ci faccio io qui? Vi ricordate i nostri prozii che emigravano in America, in Germania, in Belgio, con la valigia di cartone? Beh, io sono l’ultima generazione dell’emigrante. L’emigrante 2.0, l’emigrante col bancomat. Laureato in Psicologia a Napoli, dottorato a Padova. E finito qui a Granada, in Spagna, per trovare il modo di fare Ricerca lontano dalle logiche di lottizzazione. Ci chiamano cervelli in fuga. Ma perché, i nostri prozii d’America, il cervello non ce l’avevano?

Origini geografiche: Grumo Nevano (NA)

Città in cui vivo attualmente: Granada

Mi chiedono di Granada. Mi chiedono dell’Alhambra, la città fortificata araba, monumento più visitato di Spagna. Mi chiedono delle tapas, della Sierra Nevada, della commistione tra città araba e cattolica. Sì, queste cose ci sono tutte a Granada, ma se mi fermo a pensare alla mia Granada, penso che siamo fuori strada. Penso che questo lo si può trovare in tutte le guide. E saremmo solo all’inizio.

Ma se invece arrivi a Granada e vuoi intuire davvero dove tu sia capitato, come prima cosa devi andare a San Miguel Alto, un belvedere con chiesetta omonima posto sulla collina che sta alle spalle della città, un luogo che ha eluso tutte le guide. E da lì la vedi tutta, Granada, sotto di te, e – forse – capisci che non la puoi capire tutta. Perché, da lì, la sua bellezza la intuisci. Granada è così: la guardi e non l‘abbracci.

Ma addentriamoci oltre. Da San Miguel alto si vede un quartiere di case bianche, ognuna con il suo giardino (i famosi carmen). È l’Albayzin. Questo antico quartiere arabo è quanto di più inverosimile si possa trovare in una città moderna. Lì il tempo si è fermato. Il Sud, inteso come modo di vivere la vita, è esasperato. Vicoletti larghi un metro, scalinate in continuazione, fili tesi a mezza via per stendere il bucato che ti costringono ad abbassarti per continuare il cammino, grida di bimbi seminudi. Quando ti perdi in quei vicoli, non sai se alzare lo sguardo a guardare le case, los azulejos (ceramiche che ornano i balconi), le torri arabe, le decorazioni islamiche dei portali, o abbassarlo, per guardare le anziane signore  sulle sedie di paglia, che sedute alla porta di casa conversano, litigano, cantano, controllano la brace, rammendano, vivono.  Il tutto a suon di flamenco. Che non è un genere musicale, è la colonna sonora delle strade. Dalle finestre si sente suonare, nelle piazzette di cui l’Albayzin è pieno, si incontrano chitarristi che vi regalano la loro storia per pochi spiccioli. Perché gli andalusi non camminano per le strade, le vivono.

Da lì, poi, sicuramente vale la pena di andare in giro per tapas. Anche qui le guide potrebbero dirvi dove andare a mangiare la migliore croqueta de patatas o il miglior gazpacho. Ma lasciate perdere e perdetevi da soli. Entrate nel primo bar, rinnovato 50 anni fa e con la barra unta. E lasciatevi andare. E poi nel secondo, e nel terzo, fino a notte. E fidatevi di ogni barista che dice che la sua è la vera tapa. E fidatevi del gitano che vi mostra la sua rumba personale. Fidatevi di quella sensazione di dover rallentare i vostri ritmi. Restate a guardare lo stile di ogni piazzetta e di ogni fontana. E sedetevi sulle panchine a perdere tempo. E non abbiate fretta di fare il giro della città, perché se sarete capaci di rallentare e andare al suo tempo, sarà Lei a fare il giro di voi.

E non credete a niente e nessuno. Nemmeno a questa intervista. Perché Granada non ve la può raccontare nessuno. Dovete andarci e fare il vostro giro!

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1 comment

criel 25 Marzo 2013 - 4:27 pm

ho deciso che scapperò a granada 😀

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