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Anjana Iyer e le sue parole intraducibili

di Cinzia Cicatelli

Come tradurreste in inglese la parola cazzimma? E la parola tedesca weltanshauung, ormai di uso comune anche nel nostro vocabolario? E il verbo spaparanzarsi, da poco accettato nei dizionari d’italiano, è per definizione: l’atto di stendersi su qualcosa in maniera comoda ed appagante (però ammettiamolo che questa intera perifrasi mica fa capire effettivamente la goduria nel farlo!).

Una delle cose che più mi è rimasta impressa durante i miei studi è questa: ci sono concetti che proprio non riusciamo a esprimere nella nostra lingua se non a fatica e attraverso tanti giri di parole, addirittura frasi, che nonostante i nostri sforzi non centrano perfettamente quello che vogliamo dire. Ma non è la cosa più affascinante. L’aspetto che mi ha sempre entusiasmato è che il medesimo concetto magari è facilmente esprimibile in un’altra lingua, che attraverso una singola parola riesce a veicolare esattamente quel particolare pensiero, quella sensazione o addirittura l’intera frase che ci frulla nel cervello.

Se avanziamo nel campo minato della traduzione (parlo anche di quella spicciola, di tutti i giorni, quella che durante una conversazione amichevole ci fa dire: “No, non intendo questo, come posso dire?”) dobbiamo fare i conti con l’incommensurabilità delle lingue, cioè rassegnarci al fatto che non esiste una simmetria perfetta tra il nostro idioma e un altro. Insomma, molte parole/concetti in una lingua non hanno equivalenti nell’altra (NB cazzimma, spaparanzarsi, weltanshauung o anche cose semplici come il disappointed in inglese che ogni volta mi dà filo da torcere). Ma non voglio addentrarmi troppo nei problemi di noi traduttori (prima o poi mi scapperà un ceffone a chi mi dice: sono solo 5 righe, che ci vuole a tradurle? Ma questa è un’altra storia…)

Le cose poi si complicano quando, impossibilitati nel trovare un sinonimo semanticamente simile nella nostra lingua, siamo costretti a tradurre un vocabolo con un paragrafo intero! C’è un fenomeno linguistico chiamato parole-frasi, diffuso anche tra gli indiani d’America che attraverso una singola parola, sebbene chilometrica, riuscivano ad esprimere quello che per noi è una frase di senso compiuto. Questo tipo di parole-frasi sono intraducibili da un idioma all’altro e l’illustratrice neozelandese Anjana Iyer ha pensato bene di aggirare l’ostacolo linguistico provando a disegnarle. Una ogni giorno, per cento giorni. Il risultato è che solo una rappresentazione grafica può esprimere in maniera immediata e unica quel concetto, senza ricorrere a frasi, virgole, incidentali e chi più ne ha più ne metta. Altro che Lost in Translation! Ho selezionato per voi le 5 che mi hanno più colpito e che si possono utilizzare come codice per esprimere, appunto, la vostra cazzimma. 

Ecco le 5 parole intraducibili di Anjana Iyer che ho scelto per voi:

1- Noi diremmo: “sembri Fantozzi”, ma in alternativa potete usare Shlimazl (yiddish): una persona cronicamente sfortunata

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2- A Napoli è simile a “è ‘nu quadr e luntananza”: Bakku-shan (giapponese), cioè una ragazza bellissima… fino a quando non la si guarda in faccia.

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3- Se gli sms si pagassero come un tempo, quanto avremmo risparmiato semplicemente scrivendo Utepils (norvegese) per invitare gli amici a stare all’aperto in una giornata di sole, bevendo una birra!

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4- Mamihlapinatapei (yaghan, linguaggio indigeno della Terra del Fuoco): il gioco di sguardi di due persone che si piacciono e vorrebbero fare il primo passo, ma hanno paura. Prego Iddio che non mi capiti mai da tradurre questa parola!

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5- Schadenfreude (tedesco): godere delle disgrazie altrui… e anche qui potremmo esprimerlo con un “tieni proprio la cazzimma”.

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Quindi grazie ad Anjana Iyer.. la lingua, che strumento eccezionale!

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