Oggi ho deciso di abbandonare le vesti della critica cinematografica sprezzante che si occupa solo di film sofisticati e impegnativi e di liberare la teenager che è in me e di parlarvi di un film avvincente, romantico e commovente: Hunger Games – Il canto della rivolta: parte 2. Confesso di aver visto tutti i film della saga ispirata alla trilogia di romanzi di Suzanne Collins, e di aver trovato le quattro pellicole piuttosto piacevoli, con una sceneggiatura dignitosa, una fotografia attraente ed effetti speciali convincenti.
Hunger Games è ambientato in un’epoca futura non identificata, in una nazione, Panem, con capitale Capitol City. Il Presidente Snow è il leader della città ed è così perverso da avere creato uno spettacolo (gli Hunger Games) in cui una volta l’anno dei ragazzi scelti dai 12 distretti si uccidono tra di loro in diretta televisiva nazionale per il piacere dei telespettatori. La storia segue le vicende dell’orfana di padre Katniss Everdeen, che si offre volontaria per salvare la propria sorella minore, Primrose. L’altro partecipante ai giochi è Peeta Mellark, un giovane che Katniss conosce sin dalla scuola.
Nel corso dei giochi, la morte dei tributi prosegue, ma sia Katniss che Peeta riescono ogni volta a cavarsela e, grazie a un cambiamento nelle regole all’ultimo secondo, diventano la prima coppia a cui sia permesso vincere nella storia dei giochi. L’atto di Katniss di volersi uccidere con le bacche velenose insieme a Peeta rappresenta il non voler seguire le regole della Capitale e viene interpretato come il simbolo della rivolta in molti distretti, abitati da persone che da generazioni vivono sotto dure regole totalitarie e solo ora vedono la possibilità di un cambiamento.
Dopo il rapimento di Peeta da parte del presidente Snow, che cerca di manipolarla con un ricatto emotivo, Katniss decide di lottare contro il sistema schierandosi dalla parte dei ribelli, per scoprire poi che questi non sono migliori del dittatore di Capital, ugualmente interessati a sfruttare la sua immagine e imporre un governo dispotico.
Con l’ultimo capitolo arriva finalmente la resa dei conti. Katniss e i suoi amici Gale, Finnick e Peeta, si preparano ad affrontare il Presidente Snow e a distruggere Capitol City. L’impresa si rivelerà piuttosto pericolosa perché Capitol si è trasformata nell’arena del 76° Hunger Games, un campo minato, anche sotteraneo, che farà acquisire al film connotazioni quasi horror. Katniss, interpretata dalla deliziosa ed intensa Jennifer Lawrence, è ancora il volto della ribellione, e continua ad essere divisa tra l’immagine distorta di se stessa, l’icona di eroina coraggiosa offerta dalla macchina mediatica di elaborazione orwelliana e la sua natura fragile, che rivela un’intimità traumatizzata che sfugge alla logica crudele della spettacolarizzazione.
Hunger Games – Il canto della rivolta: parte 2 non è un banale action movie dalle atmosfere melense (il triangolo Gale -Katniss- Peeta terrà incollati allo schermo anche i fan meno romantici), ma un percorso di crescita, di emancipazione, di libertà.
Perché nel suo ruolo di Ghirlanda Imitatrice, Katniss non è semplicemente una ragazzina ambiziosa che sfida l’autorità, ma incarna il simbolo della rivolta a qualsiasi potere voglia manipolarci, usarci e addormentare le coscienze con i “giochi” mediatici. Antieroina per gli altri, ma eroina di se stessa, la ragazza di fuoco brucerà finalmente i fili della strumentalizzazione, scegliendo autonomamente chi amare e cosa salvare.