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Jean Renoir – “Le Patrone” Del Cinema

di Enza Murano

Figlio del pittore impressionista francese Auguste, Jean Renoir è stato una delle personalità più importanti del cinema, tanto da ottenere l’appellativo “Le Patrone”. Regista, produttore e sceneggiatore, debutta negli anni Venti nel cinema muto, ma si mette in luce solo con il sonoro grazie al film “La cagna”(1931) che narra di un torbido menage a trois tra una prostituta, il suo protettore e un impiegato. Un film che si dimostra subito anomalo nel panorama del cinema classico: passa dal dramma alla commedia ed è privo di eroi positivi. In tutt’altra direzione va invece il film del 1937 “La grande illusione” che segna il successo internazionale di Renoir. Ambientato durante la Grande Guerra, mette al centro la questione del rapporto tra la civiltà dell’800 e quella del 900.

Il regista sente molto l’influenza della letteratura e della pittura del diciannovesimo secolo. Nel 1934 porta sullo schermo il romanzo dell’800 per antonomasia: “Madame Bovary” di Flaubert e nel 1936 “La scampagnata” si basa su una novella di Maupassant.
Jean RenoirMa il film in cui sono racchiusi tutti gli elementi portanti della sua poetica degli anni 30 è senza alcun dubbio “La regola del gioco”(1939). Il film è ambientato nel mondo dell’aristocrazia e dell’alta borghesia francesi e il quadro che Renoir traccia della classe dirigente del paese è impietoso. La regola del titolo si riferisce al tema del rispetto delle gerarchie sociali, che è al centro dell’ opera. Il film esce poco prima della guerra ottenendo una cattiva accoglienza e allo scoppio della guerra viene ritirato proprio a causa dei sentimenti disfattisti che esprime. Nel 1941 Renoir fu esiliato negli Stati Uniti dove prese la nazionalità statunitense. Nonostante non riuscisse ad adattarsi al sistema Hollywoodiano, girò comunque diversi film. Negli anni 50 tornò in Europa dove si dedicò alla televisione e alla letteratura. Morì nel 1979 a Beverly Hills.

Passiamo ora alla mia rubrica “EccellEnza d’ autore”, dove metterò in luce tre film fondamentali di Jean Renoir.

la cagna renoirPartiamo da “La cagna” del 1931. E’ un film che si muove tra amore e morte, in cui i personaggi sono figure contraddittorie riprese senza partecipazione. I punti di vista della macchina da presa sono anomali, tutto si muove all’ interno di una dialettica tra interno e esterno. Infatti i movimenti di macchina ci mostrano sia l’interno delle scene che l’esterno della scenografia allo stesso. Si passa da panoramiche a inquadrature fisse in modo da rendere visibile ciò che accade al di là dei personaggi stessi, in modo da mostrare la Francia nella sua interezza. E’ un film tragico che mette in mostra la commedia umana già dalla scena iniziale, in cui un sipario si alza su un teatro di burattini.

la scampagnata renoirPassiamo ora a “La scampagnata”, film del 1936, drammatico, tratto da una novella di Guy de Maupassant. Questo film ha ricevuto molti apprezzamenti da parte della critica. Mette in scena realismo e naturalismo e si sente forte l’influenza del pittura del padre Auguste. In questo film la libertà dei movimenti di macchina ha un esito anti-narrativo: a volte la macchina abbandona deliberatamente i personaggi che nel cinema classico sono il centro dell’inquadratura, per esplorare il paesaggio. Renoir realizza in questo modo delle pause puramente descrittive in cui vediamo solo alberi mossi dal vento, che anticipano i tempi morti del cinema moderno.

le regole del gioco renoirIn ultimo c’è il mio film preferito, “La regola del gioco” del 1939, uno dei migliori film di Renoir in assoluto. Il film è una commedia e un dramma allo stesso tempo, che mostra la vita dell’ aristocrazia e della borghesia francesi tra amori e drammi fino a concludersi con un omicidio. Inizialmente viene considerato un insuccesso dalla critica, ma inizierà ad essere apprezzato a partire dagli anni 60 nelle sale frequentate dai giovani della Nouvelle Vague che lo considerano un capolavoro della storia del cinema. L’insuccesso iniziale del film si spiega con la sua estraneità ai canoni del cinema classico, oltre agli aspetti politici. Infatti il pubblico si sentì disorientato alla visione del film. I personaggi sono figure ambigue unite da relazioni instabili in cui le alleanze si capovolgono di continuo. Inoltre meschinità e tradimento non regnano solo nel mondo dei padroni aristocratici e borghesi ma anche nella vita dei loro domestici. Non solo in questo film mancano sia figure positive che cattivi in senso canonico, ma il testo va oltre le tradizionali differenze di genere. Inoltre si distingue dal cinema classico anche per l’utilizzo innovativo della macchina da presa e per l’organizzazione dello spazio. In diversi momenti del film il regista sceglie di utilizzare il piano sequenza ed evitare stacchi di montaggio, ed è stato proprio Renoir ad inaugurare questo nuovo tipo di inquadratura che permette di rappresentare l’ intera durata temporale di una scena come se accadesse di fronte allo spettatore. Sceglie quindi di utilizzare una tecnica di ripresa che esalta la continuità temporale e la tridimensionalità dello spazio anticipando, così di qualche anno, l’uso che della profondità di campo faranno Welles e Wyler. Inoltre Renoir tende a sfruttare la quarta parete, ignorata dal cinema classico per non rompere l’ illusione di realtà. In questo film, grazie alle innovazioni tecniche messe in scena da Renoir, emerge la complessità della rete di rapporti di odio e amore che lega tra loro i vari personaggi, la quale si rispecchia anche nell’ articolazione a modi labirinto dello spazio della villa in cui il film è ambientato.

Jean Renoir è stato un artista spesso sottovalutato e incompreso per il suo stile e il suo modo di mettere in scena l’ intimità dei personaggi e dello spazio circostante. Un artista che rompe i soliti schemi e ne costruisce sempre di nuovi, un mago della cinepresa che ne fa un’ estensione della sua anima. Valorizzato dai cineasti della Nouvelle Vague, resterà uno dei più grandi maestri del cinema.

“Sono stato felice. Ho girato dei film che ho desiderato girare. Li ho girati con persone che erano più che dei collaboratori, erano dei complici. Ecco, io credo, una ricetta della felicità: lavorare con persone che si amano e che vi amano molto.”

Jean Renoir

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