La cinematografia giapponese è di sicuro quella che ha saputo imporsi meglio nell’ambito della storia del cinema. Fin dagli anni 60 si è retta su un sistema articolato il cui modello era quello hollywoodiano, facendo del cinema una vera e propria industria e controllando abilmente il mercato. La produzione nipponica veniva suddivisa in generi ed i principali erano due: i jidaigeki e i gendaigeki. I primi erano film ambientati nel passato, mentre i secondi erano film di ambiente contemporaneo. Proprio grazie a queste premesse il cinema giapponese riesce a crescere e a svilupparsi. Uno dei registi che ha contribuito affinché ciò fosse possibile è senza dubbio Akira Kurosawa.
Regista, sceneggiatore, produttore e scrittore, Kurosawa realizza i suoi primi film negli anni della seconda guerra mondiale, un insieme di opere appartenenti a quella politica nazionale che imponeva l’esaltazione dello spirito di sacrificio di un singolo per il bene collettivo. Dopo la guerra riesce ad esprimersi con più libertà e, spaziando tra jidaigeki e gendaigeki, realizza alcune delle sue opere più importanti. Pur essendo stato fortemente influenzato dal cinema americano, Kurosawa riesce a piegare queste influenze alle proprie esigenze espressive e alle forme della tradizione estetica giapponese.
Nel 1951 al Festival di Venezia questo regista fino ad allora sconosciuto vince il Leone d’oro un film giapponese di un regista fino ad allora sconosciuto, Rashōmon. L’anno dopo il film si aggiudica anche il premio Oscar : è l’ inizio della scoperta da parte del pubblico occidentale del cinema giapponese.
Tratto da due racconti di Akutagawa, Rashōmon racconta la storia della violenza inflitta da un bandito a una donna in viaggio con il suo uomo, un nobile samurai. Il film ha una particolarità molto importante, tutti gli eventi chiave della narrazione quali lo stupro e la morte del samurai, vengono rappresentati più volte attraverso i racconti che ne fanno i personaggi che vi hanno preso parte e un boscaiolo che ha, invece, assistito.
Una delle caratteristiche più significative del film è l’uso congiunto di montaggio e profondità di campo: Kurosawa in quasi tutti i momenti più drammatici tende a disporre i personaggi in piani a due o tre figure costruiti su effetti di profondità. Sono inquadrature piene di tensione che tengono gli spettatori col fiato sospeso nell’incertezza per ciò che potrebbe accadere o nell’attesa che qualcuno agisca. Il regista accentua ulteriormente la tensione di queste immagini attraverso effetti di montaggio giocati sul principio del conflitto grafico, creando così inquadrature stilizzate in cui dominano linee diagonali che cambiano direzione all’ improvviso nel passaggio tra diversi piani. Molto importante è anche l’uso che il regista fa della macchina da presa utilizzando movimenti circolari che si configurano come un modello visivo che ci riporta alla circolarità della narrazione e al suo ritornare sugli stessi eventi.
Il suo stile cinematografico semplice ma spettacolare ha reso Kurosawa uno dei registi giapponesi più importanti a livello internazionale.
“Il cinema racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura, ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scultura, alla musica.”