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Lo straniamento a teatro: Brecht e il Verfremdungseffekt

di Cinzia Cicatelli

Dopo avervi parlato dello stracitato e osannato metodo Stanislavskij – dandovi l’opportunità di poter sfoggiare questo termine per impressionare i vostri amici a teatro- questa volta vi deluciderò sulla tecnica diametralmente opposta, il suo gemello cattivo, il suo doppler ganger: lo straniamento (o verfremdungseffekt) e così potrete addirittura camuffarvi con gli spocchiosi radical chic del boudoir!

Che cos’è lo straniamento? Chi ha dato vita al verfremdungseffekt?

Partiamo con il CHE COS’È: se il metodo Stanislavskij non è altro che una tecnica di immedesimazione e reviviscenza – che porta l’attore ad “incarnarsi” nel personaggio che deve interpretare – lo straniamento è una tecnica esattamente opposta, perché l’attore è completamente distaccato dal suo personaggio e mira a creare un effetto di estraneità e distanza nello spettatore rispetto al soggetto rappresentato. Come? Limitandosi a mostrare il suo personaggio senza esprimere sentimenti e adottando, per narrare un fatto o descrivere una persona, un punto di vista totalmente estraneo all’oggetto.

“Quando il rapporto tra opera e pubblico si stabiliva sulla base dell’immedesimazione, lo spettatore poteva vedere solo quello che vedeva l’eroe del dramma e poteva provare solo le emozioni e i sentimenti suggeritegli dall’atmosfera delle situazioni sceniche. Le percezioni e i sentimenti dello spettatore si uniformavano a quelle dei personaggi in scena e il teatro non consentiva reazioni sentimentali proprie. Usando la tecnica dello straniamento lo spettatore è posto di fronte alla scena in modo critico e su essa opera una riflessione, delle considerazioni libere e non più guidate dall’autore”.

Chi è stato il genio fondatore del verfremdungseffekt? Bertolt Brecht. In realtà il concetto di straniamento deriva dai formalisti russi (anni ’20) che introdussero l’esigenza narrativa del punta di vista esterno, tuttavia la consacrazione teatrale del verfremdungseffekt è senza dubbio da attribuirsi al grande drammaturgo e poeta tedesco che ha posto questa tecnica alla base della FUNZIONE CIVILE E SOCIALE DEL TEATRO. Lo scopo dello straniamento è infatti non solo quello di evitare il coinvolgimento emotivo dello spettatore, ma anche di suscitare un atteggiamento analitico e critico rispetto ai fatti rappresentati. Solo attraverso lo straniamento, infatti, lo spettatore può sviluppare un libero pensiero critico, perché non sono le emozioni a dominarlo, ma un senso di stupore e di confusione che lo stimolano alla riflessione.

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Insomma avete presente il teatro sperimentale, le rappresentazioni postmoderniste, quelle in cui – tendenzialmente – ci sono bocce di vetro con pesciolini, cavalli parlanti e attori nudi? Al 90% adottano il verfremdungseffekt… e se tutto questo non fa per voi, meglio optare per uno spettacolo di età vittoriana, una tragedia shakespeariana per intenderci!

Cari lettori neofiti di terminologia teatrale, vi sentite rincuorati? Adesso conoscete (almeno per sommi capi) in cosa consiste sia il famigerato metodo Stanislavskij che la tecnica dello straniamento di Brecht e potrete: controbattere ai vanti degli attoruncoli, fingervi intenditori, sfoggiare un linguaggio forbito per far colpo o, più semplicemente, capire cosa vogliono propinarvi alcuni corsi di recitazione. Tutto questo approfondendo una sola parola… quanto è vero che la conoscenza è potere!

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