Il mise en abyme è un espediente narrativo in cui un’immagine contiene una piccola copia di se stessa, ripetendo la sequenza potenzialmente all’infinito. Non solo Nolan in “Inception“ o Jonze ne “Il ladro di orchidee“, ma già cinquant’anni prima Pier Paolo Pasolini aveva usato in “Che cosa sono le nuvole?” quest’espediente metanarrativo per rappresentare l’esistenza umana. E ben tre secoli prima il ritrattista spagnolo Velazquez!
Titolo: Capriccio all’italiana
Genere: commedia all’italiana
Anno: 1967
Durata: 23min
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini
Interpreti principali: Franco Franchi (Cassio), Ninetto Davoli (Otello), Ciccio Ingrassia (Roderigo) Laura Betti (Desdemona), Totò (Jago)
Che cosa sono le nuvole? – di Pier Paolo Pasolini
Trama: in un paesino di provincia, un marionettista mette in scena una rivisitazione comica dell’Otello: mentre sul palco le marionette sono costrette a interpretare i ruoli shakespeariani imposti dall’alto, dietro le quinte hanno vita e pensieri propri. Il canovaccio della tragedia di Shakespeare è, però, stravolto proprio all’apice del consueto climax: gli spettatori non accettano le malefatte di Jago e Otello e vi si avventano contro fino a smantellarli, salvando Desdemona dal funesto destino che il copione le riservava.
Se avete già dedicato venti minuti del vostro tempo alla visione del mediometraggio, probabilmente le mie parole sapranno di superfluo. Perché spesso i tentativi di spiegare la poesia, finiscono solo per inquinarla. Anche quando è fatta di fotogrammi e celluloide. Anche quando l’oggetto della rappresentazione è la rappresentazione stessa, in un’allegoria dell’esistenza umana che cerca di capirsi e che nel farlo si scontra con i suoi limiti.
Non è un caso che nei titoli di apertura di Che cosa sono le nuvole? la locandina dell’Otello sia una stampa de Las Meninas: come osserva Paolo Spinicci riprendendo Foucault, il quadro può essere letto come una riflessione figurata dell’idea di raffigurazione, del concetto filosofico di rappresentazione e del divario tra soggetto che rappresenta, oggetto rappresentato e soggetto che assiste: nel suo tentativo di andare oltre sé stessa, l’immagine sbatte contro il limite costruttivo che la caratterizza. Anche nel film la stessa dinamica del quadro è riprodotta e assistiamo a un mise en abyme molteplice: il film racchiude al suo interno una tragedia di Shakespeare, così come il burattinaio manovra i fili delle marionette in un teatro in cui Jago manovra Otello.
Storie nella storie, immagini nelle immagini, sogni nei sogni: in altre parole, rappresentazioni nelle rappresentazioni che si incastrano in un gioco di scatole cinesi cinematografiche. Differentemente però dal quadro, la matrioska montata da Pasolini in Che cosa sono le nuvole? ha una via d’uscita, anche se non concede ritorno: in un’inversione di parti, in cui il pubblico da spettatore diventa parte attiva della scena e i personaggi non vogliono più recitare il ruolo che qualcuno gli ha cucito addosso, il confine tra illusione e realtà, tra idea del rappresentare e atto rappresentativo è smontato e sovvertito con un atto di violenza che restituisce libertà.
Così come il dramma di Shakespeare diventa commedia nel momento in cui i personaggi acquistano consapevolezza della loro schiavitù, la commedia di Pasolini ridiviene dramma quando – per riprendersi la loro libertà e umanità – le marionette devono morire per uscire dal palco e finalmente comprendere che cosa solo le nuvole, andando molto oltre il pirandelliano strappo nel cielo di carta.
In un mondo che, come diceva Shakespeare, è un palcoscenico di cui siamo mere comparse, in cui spesso ci accontentiamo di recitare copioni non decisi da noi; in una società in cui i bisogni sono imposti dal marketing e le aspettative riflesso di quelle degli altri, in cui anche l’amore è sempre più una chimera (lo recita proprio la canzone di Modugno omonima al film), le nuvole di Pasolini sono una fuga da tutte le strutture e sovrastrutture sociali e ci permettono di assaporare silenziosamente quella verità che appena la nomini non c’è più. Un’estasi finale che nasce nel turbamento di una rivoluzione delle parti.
E’ vero, forse a Desdemona piace essere ammazzata. O forse non sa che ha un’altra scelta, che i fili delle convenzioni che ci incatenano possono essere recisi. Il discorso vale anche per noi. Il punto è che quando lo capiamo spesso è troppo tardi.