Chi sono o sono stati gli uccisori della tirannide?
La libertà, sentimento che anima instancabilmente ogni essere vivente, sentimento che in molti perseguono fino allo stremo anche a costo della vita stessa. Non uomini illustri, ma uomini comuni che ogni giorno si battono per questa, per liberare noi stessi dalla forma dell’oppressione della mente e dell’animo.
Un percorso artistico che merita, che volge il suo sguardo verso gli uccisori della tirannide, al momento storico e allo spirito che li ha plasmati. Un cenno allo spirito che si concretizza e diviene forma.
Un unico blocco di marmo, un temerario perseverante, la tirannia a Firenze; il tutto concretizzatosi nell’immane sforzo di Michelangelo di scalfire pietra fino a liberarne la figura in essa intrappolata: staccarne il guscio e liberarla. Il blocco di marmo dinnanzi al quale si trova è alto quattro metri ed è già stato fonte di rinuncia per quanti altri abbiano provato a dargli forma. L’uomo Michelangelo ostinato, orgoglioso, instancabile, l’uomo che affrescò la Cappella Sistina da scultore e divenne il più grande affreschista del suo tempo, l’uomo che seppe infondere il dolore alla pietà Rondanini, ma soprattutto, l’uomo che liberò dalla pietra uno tra gli uccisori della tirannide per eccellenza: il David.
Si tratta di un’opera del 1501, che, commissionatagli dai Medici, divenne il simbolo dei Repubblicani, che, impossessatisi della scultura, la collocarono in piazza della Signoria, dove, in tutta la sua monumentalità, venne a rappresentare la vittoria della libertà sulla tirannia, l’uccisione di Golia da parte di Davide, in breve, la cacciata dei Medici da Firenze da parte dei Repubblicani. Michelangelo, da giovane, aveva studiato all’accademia dei Medici ai tempi di Lorenzo il Magnifico ed era entrato in contatto non solo con i figli di quest’ultimo, ma soprattutto, con le arti, in un fervido ambiente quale era Firenze nel ‘400, considerata il centro del mondo. In centri come Firenze la rivalità di potere si manifesta a livello artistico, aggiudicandosi il miglior artista, e i Medici ne hanno allevato uno. Sono trascorsi 35 anni dalla morte di Lorenzo il Magnifico e i progetti di quest’ultimo si sono trasformati in uno spietato gioco di potere che vede Alessandro detto “Il moro”, governare come un sovrano assoluto. E’ il 1527 e i fiorentini insorgono, Michelangelo, in un periodo particolarmente pericoloso come questo, sceglie di schierarsi dalla parte dei Repubblicani, ma la situazione politica muta bene presto. L’esercito imperiale assedia la città e la neonata Repubblica ha i giorni contati: il nuovo ordine è quello di giustiziare i repubblicani e Michelangelo è nella lista. Sono giorni sanguinosi per Firenze e Michelangelo si rifugia nella Basilica di San Lorenzo, fin quando, da Roma, non giungerà un dispaccio del Papa Clemente VII (Giulio de’ Medici) con l’ordine di risparmiare l’artista.
Cosa ci regalerà ancora Michelangelo e a che prezzo? Clemente VII gli ordina di tornare a lavorare alle tombe medicee e, soprattutto, di tornare alla cappella sistina per dipingere la parete di fondo. Ma come obbedire ad una chiesa in cui Michelangelo non si riconosce più? Sono gli anni di Lutero e della riforma protestante e i pilastri della Chiesa, sempre così saldi, ora sono messi a dura prova. Il 1541 è l’anno in cui il mondo scopre il “giudizio universale”, è la più grande parete mai affrescata da un singolo artista: “un’opera che curva la direttrice della storia”. L’artista e uomo Michelangelo ha superato i suoi stessi limiti e i limiti del suo tempo, oltre il Rinascimento, oltre i limiti dell’immaginabile.
Mi pare doveroso, ora, fare un paio di passi indietro nel tempo e approdare nel VI secolo a. C. per incontrate altri due da annoverarsi tra gli uccisori della tirannide: “Armodio e Aristogitone”, figure plasmate dallo scultore Antenor nel VI secolo a. C., colti nel gesto di liberare Atene dalla tirannia dei Pisistratidi (circa 527-513 a. C.). L’opera, fortemente simbolica, rappresentava la riconquistata libertà ateniese, e, in tutto il suo orgoglio, era esposta nell’agorà di Atene. Il capolavoro fu rubato dal re Serse in occasione dell’invasione persiana e, per questo motivo, ricostruito nel V secolo a. C. dagli scultori Kritios e Nesiotes.
Possiamo farci un idea dell’opera da una copia in marmo conservata oggi a Napoli, al Museo Archeologico Nazionale. Colpisce l’ampiezza e l’imperiosità del gesto, lo slancio che muove i tirannicidi, lo sguardo mosso dall’ostinazione. L’artista riesce a catturare l’istante significativo proprio come farebbe un’istantanea, non ci sono dubbi: ci si sta avviando verso l’acmé dell’arte classica. Così come il David in piazza della Signoria, Armodio e Aristogitone nell’agorà di Atene, in ricordo dello slancio fisico e morale, il salto oltre i limiti imposti.