Se vi chiedo qual è il balletto classico per eccellenza cosa mi rispondete? Il lago dei cigni. Sono sicura che sarebbe l’unica opzione perché mi è successo decine di volte… come se il lago dei cigni incarnasse l’anima della danza. Ma perché? Perché è considerato il balletto per antonomasia? Il non plus ultra della perfezione scenica?
Perché al contrario di quello che si possa pensare, Il lago dei cigni non è una fiaba, nonostante ci siano un principe, una principessa, un castello ed uno stregone cattivissimo.
Oltre alle coreografie davvero sublimi e alle musiche di Čajkovskij, la storia di Odette e del suo doppio malviagio Odile ci cattura (maschi e femmine indifferentemente, posso giurarlo) perché ha un non so che di macabro, che ci smuove nel profondo: entrambe le fanciulle sono incolori ed esanimi, sono meri strumenti di rappresentazione del bene e del male, ma in maniera non tradizionale. C’è un solo momento in cui potremmo distinguerle: durante la loro danza. Ed è questo l’elemento che rende speciale questo balletto.
È facile pensare alla dicotomia cigno bianco/cigno nero come a una metafora dell’eterna lotta tra bene e male. In realtà non è proprio così. Si tratta del più sottile quanto intricato problema del distinguere tra bene e male perché spesso hanno lo stesso (bellissimo) volto. Non a caso Odette ed Odile hanno le stesse sembianze, a distinguerle, nel loro caso, c’è solo il loro diverso modo di ballare, eppure la magia riesce ad ingannare lo stesso il principe Sigfried (che non si accorge della differenza) e ad indurre Odette al suicidio.
È un po’ come se una dolce ragazza diventasse improvvisamente una terrorista e nessuno si accorgesse della differenza, nemmeno la sua stessa madre. Come ci si sentirebbe?
Questo perché bene e male non sono due entità distinte, ma due facce di una stessa medaglia e talvolta il confine è davvero labile. Può ingannare, confondere anche chi ami. Inconsapevoli pedine del destino tramato dal mago Rothbart, morte e distruzione si abbatteranno sulle due donne, in un finale tragico ed inatteso.
Questa è l’indagine psicologica affrontata anche da Arnofsky in “Black Swan” che “coglie questa volta la protagonista al debutto con la vita e nel ruolo della vita, attraverso un classico del teatro di danza, sintesi perfetta di composizione coreografica e lunare poesia tardo romantica, di chiarezza formale e inquietanti simboli psicoanalitici, che contrappone un cigno bianco (Odette) a un cigno nero (Odile) tra arabesque e attitude, tra fremiti nervosi di braccia e straordinari movimenti del corpo. E proprio tale prospettiva presta il fianco ad avvitamenti mentali, fluttuazioni interiori e metamorfosi corporali che mancano il segno, ostentando le smisurate ambizioni filosofiche dell’autore. I rapporti spaziali-geometrici tra i protagonisti e l’architettura viva e in movimento creata dal Corpo di Ballo, perfetta rifrazione e moltiplicazione di Odette, ispirano Black Swan e fondano la sua storia senza limiti e confini di genere. Dramma, mélo, thriller e horror si combinano sullo spazio scenico (ri)creato da Aronofsky e diviso in poli d’attrazione positivi e negativi che si annullano al centro nel momento dell’estasi amorosa di Odette e del suo principe, di Nina e del suo coreografo.
Concludo questa mia riflessione con il pas de qautre de il lago dei cigni, il più bello, emozionante e sorprendente della storia della danza! Buona visione!