E’ matita che traccia sul foglio una linea. E’ china che regola spessore e dimensione. E’ parola racchiusa in una nuvoletta. Tante parole-chiave del fumetto sono sostantivi di genere femminile, eppure a lungo quella del fumetto è stata considerata un’arte appannaggio di un costume e un gusto prettamente maschili, nonostante siano presenti numerose donne nei fumetti.
In realtà, questo pregiudizio è stato in parte superato.
Non solo su numerose testate troviamo la firma di ottime disegnatrici, brillanti sceneggiatrici e ottime autrici complete (le brave Sara Pichelli, Paola Barbato, Elena Casagrande, Mirka Andolfo, Amanda Conner, Emanuela Lupacchino o Marjane Satrapi sono i primi nomi che mi venogno in mente), ma anche il marketing ha cominciato a considerare quello femminile come target di cui il mercato non può non tenere conto.
Forse sono stati gli shojo (ovvero quei manga indirizzati ad un pubblico prettamente femminile) i primi prodotti editoriali fumettistici a prendere in considerazione le giovani lettrici, ma se ci spostiamo in un mercato molto diverso, come quello statunitense, dove è egemone il mainstream supereroistico, le donne in passato avevano molto meno spazio e le protagoniste dei fumetti sono modellate su una serie di stereotipi decisamente maschili(sti): dalle pose ammiccanti ai costumi succinti, dalle forme e curve inverosimili agli atteggiamenti aggressivi. Con le dovute eccezioni, in questi fumetti sostanzialmente abbiamo due tipologie di personaggi: la dama in pericolo, che incarna il modello di donna indifesa e inerme, e la donna-guerriero, che ha una caratterizzazione decisamente maschile ad eccezione dei tratti estetici, con attributi decisamente femminili.
Questo è un discorso che riguarda oltre alla qualità anche la quantità di donne nei fumetti protagoniste di una testata.
Se diamo uno sguardo al primo Marvel Now, il rilancio di nuove testate attuato dalla Casa delle Idee nel 2013, su oltre trenta serie soltanto due avevano come protagonista principale un’eroina, Captain Marvel e Savage She-Hulk più il super-gruppo delle Fearless Defenders. Un passo in avanti è stato fatto nel 2014: dopo le critiche alla cover di Spiderwoman firmata da Milo Manara (alle quali ha di recente risposto con una provocazione d’arte), il successivo rilancio dell’All Marvel Now ha provato a dare spazio a nuovi titoli con protagonisti altri personaggi femminili, come Black Widow, Elektra, She-Hulk, Storm e la giovane Ms Marvel (l’inumana mussulmana vincitrice di numerosi premi).
Analogamente a quanto Lorella Zanardo osserva nel documentario Il corpo delle donne riferendosi al medium televisivo, anche nella maggior parte dei fumetti “la presenza delle donne è una presenza di quantità anziché di qualità“: tantissime pin-up dai corpi mozzafiato non mancano mai in ogni storia, ma difficilmente hanno una caratterizzazione profonda o tridimensionale.
Ve li ricordate gli Uncanny X-men negli anni ottanta?
I fumetti femminili di Chris Claremont avevano carattere e spessore psicologico, ma soprattutto, prima di essere le supereroine Tempesta, Fenice, Shadowcat, erano innanzitutto le donne Ororo, Jean e Kitty.
E oggi invece? Guardate le donne nei fumetti disegnate da Milo Manara:
Belle, bellissime, il tratto del maestro non si discute.
Ma togliete i costumi, il colore della pelle e dei capelli e questi personaggi diventano delle bamboline tutte uguali senza un’identità. Sono messe lì come un involucro accattivante per attirare l’arrapato di turno, ma il loro ruolo si limita alla funzione di suppellettile.
Su tumbrl la Hawkeye Initiative ha provato a denunciare la tendenza di molti fumettisti di esasperare l’anatomia femminile e le pose “over-sexualized”: utilizzando il personaggio Occhi di Falco e altri eroi maschili, si riproducono molte cover per evidenziare quanto innaturali e degradanti siano le raffigurazioni delle eroine, costruite per assecondare i presunti desideri maschili. E se contro queste accuse di sessismo è stato risposto che anche gli uomini sono ritratti sessualmente e connotati con standard impossibili, si è visto che l’equivalenza non regge, perché sia la rappresentazione di uomini che di donne gioca su fantasie esclusivamente maschili, tanto l’identificazione con il macho, quanto il desiderio per la donna-oggetto.
Ovviamente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Benché non numerosissimi, ci sono esempi di fumetti in cui le donne non servono solo ad alzare il livello di libido, o se lo fanno, non si limitano a quello.
Rimanendo negli Stati Uniti, Wonder Woman è da oltre settant’anni la titolare di una sua testata, è considerata simbolo di emancipazione femminista e, di recente, è stata nominata ambasciatrice simbolica dell’ONU. Soprattutto la DC Comics, dopo alcune polemiche e accuse di sessismo generate dalla serie di Batwoman e di Batgirl, sembra avere aggiustato il tiro dando il giusto rilievo alle sue eroine. Nel ciclo editoriale new52 serie come Batgirl, Black Canary, Catwoman, Harley Quinn, Supergirl e Starfire non solo raccontano personaggi tridimensionali e non pin-up (indicativo è stato il restyling del look di Barbara Gordon), ma sono riuscite in quello che dovrebbe essere lo step successivo: oltre ad una caratterizzazione rispettosa della loro femminilità, loro storie non sono rivolte soltanto a un pubblico femminile, ma sono storie fruibili da entrambi i generi, riducendo così il gap tra il rosa e l’azzurro.
Qualche anno fa, Alias di Bendis & Gaydos e Echo di Terry Moore avevano per protagoniste rispettivamente la detective Jessica Jones e la fotoreporter Julie Martin, le quali si muovevano in contesti superoistici senza essere tratteggiate con le forme sproporzionate e le esagerazioni anatomiche tipiche delle supereroine: benchè dotate di superpoteri, era l’umanità e femminilità a muovere le loro avventure e le loro scelte.
In Giappone la scelta è molto ampia, ma ci limiteremo a citare le giovani omonime protagoniste di Nana, perché è un manga incentrato innanzitutto sull’amicizia tra ragazze, svincolandosi quindi dal solito clichè di fumetto rosa. In Italia, Valentina di Guido Crepax fu, tra gli anni settanta e ottanta, il primo esempio italiano di comprimario femminile che per la sua carica eversiva ruba la scena al suo partner Neutron, fino a ergersi a emancipata protagonista.
Qualcosa di simile toccò alla partner di Nathan Never, Legs Weaver, alla quale è stata dedicato una intera testata di un centinaio di numeri. Legs insieme a Julia, Gea e Lilith ha rotto l’egemonia maschile del parco testate Bonelli, anche se solo la giovane criminologa dalle fattezze di Audrey Hepburn detiene una sua periodicità mensile in edicola. La dylaniata sceneggiatrice Paola Barbato su Davvero ha provato a raccontare la ricerca di se stessa della giovane Martina prima sul web e poi in edicola, ma è un tipo di narrativa che fa fatica a decollare.
In commemorazioni come la Giornata Mondiale Contro la Violenza di Genere e la Festa delle Donne, istituite per riflettere sui diritti delle donne e sensibilizzare contro i maltrattamenti e soprusi che subiscono, sentiamo tanto parlare di simmetrie del potere, di tutela dei diritti, di rivoluzioni culturali. Ma una rivoluzione culturale è tale se cambiano anche i modelli perpetuati nella nostra quotidianità.
Bisogna cambiare il modo di rappresentare le donne nei programmi televisivi, negli spot, nei manifesti pubblicitari. Perché a furia di mostrare le donne come dei manichini di plastica o bambole gonfiabili, finiamo col credere che siano dei manichini e delle bambole. Perché “le immagini non sono solo immagini. Sono comunicazione, memoria, sapere, educazione“.
E allora anche i fumetti pin up, che sono costruiti prettamente da immagini, necessitano di questa ventata di cambiamento.
Magari, ripescando da quello di buono che c’è già stato di donne nei fumetti.
Vogliamo la forza di Wonder Woman, il coraggio di Batwoman, la sensualità di Valentina, la cocciutaggine di Jessica Jones, la dolcezza di Hachi, la perspicacia di Julia, la fragilità di Martina. Vogliamo i loro pregi, ma anche e soprattutto i loro difetti. E soprattutto vogliamo storie che riflettano donne che siano umane nei loro comportamenti. Non solo abitini succinti, ma anche pigiami di pile, non solo occhiolini ammiccanti, ma anche sbadigli imbarazzanti. E ascelle sudate, capelli sporchi, qualche chilo di troppo e, magari, scene che ci ricordano che hanno le mestruzioni e che si depilano.
Donne nei fumetti, se non vere, quantomeno realistiche, e non riflesso di una rappresentazione maschilista.
Per farvi un’idea, guardate come Gregoire Guillemin si è immaginato il quotidiano di alcune tra le più famose supereroine nella serie concettuale The Secret Life Of Superheroes: