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Il jazz: questo sconosciuto!

di Bruno Spagnuolo

Quante persone, davanti ad un brano strumentale jazz, per la prima volta, hanno compreso il senso di ciò che stavano ascoltando, ne hanno colto le sfumature e collocato il solista (che spesso sono o il sassofono o la tromba) nella composizione? Io azzarderei a dire che solo una minima parte ci è riuscita. E non è certo perchè il jazz è complicato. Quanti, invece apprezzano Louis Armstrong e forse neanche conoscono Mingus? Cosa c’entrano Armstrong e Mingus, vi starete chiedendo. In realtà il concetto è molto semplice e le risposte che richiedono le due domande sopra, sono l’una conseguenza dell’altra, ma prima bisogna tornare indietro di oltre un secolo per acquisire le nozioni utili a soddisfare i precedenti quesiti.

Il jazz affonda le sue radici nell’America di fine ottocento, nelle comunità afroamericane degli schiavi del sud, nasce come musica da lavoro, ed insieme al blues è la musica dell’identità, delle radici, attinge dalla tradizione africana e pertanto la ritmica assume il ruolo di protagonista.
jazz originiDall’altro lato, all’epoca la musica dei bianchi discendeva direttamente dalla musica sinfonica che invece dava maggiore risalto all’armonia melodica e tonale e fino a che non c’è stata la contaminazione fra i due stili, ovviamente il jazz risultava poco comprensibile ai bianchi che non avevano quella naturale propensione al ritmo tipica dei popoli africani i cui canti, non essendo scritti, vengono tramandati oralmente. Di conseguenza sono ritmo nell’accezione più pura del termine: la voce scandisce il tempo, accompagnata solo da strumenti a percussione e soprattutto sono improvvisati, caratteristica quest’ultima che rivela più d’ogni altra la vera natura del jazz. Il ragtime, gli spirituals e il blues primitivo, i tre generi che hanno contribuito alla genesi del jazz, sono accomunati da una ritmica molto complessa. Di conseguenza chi ascolta la classica o è cresciuto a pane e pop o anche col rock, incontra grosse difficoltà nell’approccio al jazz perchè l’errore che spesso si commette è quello di focalizzare l’attenzione sul solista al fine di trovare una melodia, missione che riesce perfettamente con i generi menzionati su ma che non funziona per niente con il jazz, la cui chiave di lettura è da ricercare nel contrappunto ritmico, dove per contrappunto si intende la capacità di unire, facendole fluire contemporaneamente più linee melodiche indipendenti l’una dall’altra, caratteristica questa, che ci consente di cogliere distintamente i diversi ritmi, nonostante li percepiamo congiuntamente. Questo è ciò che fa la sezione ritmica jazz.

Quindi ritornando alla prima domanda, il jazz è spesso incompreso per questioni puramente affini al modo di ascoltarlo.

Il concatenamento fra la melodia e il ritmo svolge un ruolo primario nel jazz e se non lo si impara ad ascoltare, o meglio, “leggerlo” con l’udito, è un po’ come cantare una canzone inventando le parole, si fa confusione e non si sta sulla linea del brano. Se avete capito di cosa sto parlando, allora la questione Armstrong-Mingus adesso dovrebbe esservi chiara: il primo è più melodico, quindi il suo messaggio è fruibile anche a chi non è abituato ad ascoltare il jazz, mentre il secondo non lo è, da qui si capisce anche il maggior successo del modal jazz o del jazz cantato rispetto alle altre correnti: sono semplicemente più melodici e, non a caso, rappresentano quelli che storicamente sono considerati gli unici due momenti commerciali del jazz, dal punto di vista strettamente della popolarità ovviamente e non dal punto di vista qualitativo, anzi!

jazzAi fini pratici, capito il concetto del contrappunto, la cosa migliore da fare è di concentrarsi sulla sezione ritmica, lasciando sullo sfondo il solista, dove per sezione ritmica si intende la batteria, il contrabbasso e una sola mano del pianoforte, per la precisione quella del tempo e non quella degli assoli (se non conoscete la differenza, niente paura, perchè con l’ascolto vi sarà tutto più chiaro)- All’inizio può sembrarvi una cosa complicata, per cui per facilitarvi ulteriormente le cose, ascoltate più volte il pezzo in esame e ad ogni ascolto, cercate di concentrarvi su una sola parte della sezione ritmica, secondo quest’ordine:
1) batteria (al primo ascolto)
2) linea di basso (dopo che avete isolato la batteria)
3) accordi del pianoforte

Alla fine, quando avrete capito il gioco, ascoltate tutto il brano, ponendo l’attenzione alla sezione ritmica nella sua interezza, senza farvi però distrarre dal solista che, invece, si muoverà sullo sfondo in maniera indipendente. Capirete così il dialogo esistente fra le varie parti soliste che prima invece vi risultavano slegate e completamente fuori tempo e noterete la fluidità dei soli che si muovono sul tappeto ritmico. Ovviamente distinguere in maniera netta la sezione ritmica dal solo non è cosa semplice, ci sono dei brani in cui questo lavoro è abbastanza fattibile, per altri invece è un po’ più complesso e ci vuole un orecchio ben allenato. Ora però, è arrivato il momento della pratica. Passate all’azione allenandovi con la playlist che questa volta, è stata composta per voi da un mio caro amico ed esperto di jazz Paolo Scotto di Vetta. Abituatevi a lui, perchè mi sa che quest’articolo segna l’inizio di una lunga collaborazione.

1) Mood indigo interpretata da Louis Armstrong
2) Autumn leaves interpretata da Cannonball Adderely
3) Blue in green interpretata da Miles Davis
4) Psalm interpretata da John Coltrane
5) All the things you are interpretata da Charlie Parker
6) Lonely woman interpretata da Ornette Coleman
7) Take five interpretata da Dave Brubeck
8) Moanin’ interpretata da Charles Mingus

Sperando che ora vi sia tutto più chiaro, non avrete più bisogno di aiuto, perchè citando Armstrong

Se hai bisogno di chiedere cos’è il jazz, non lo saprai mai.”

Buon ascolto.

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