Home AuthorCinzia Cicatelli Le voci di dentro. Lo show dei fratelli Servillo

Le voci di dentro. Lo show dei fratelli Servillo

di Cinzia Cicatelli

Le voci di dentro è una commedia in tre atti di Eduardo de Filippo, uno dei più grandi ed apprezzati drammaturghi italiani, scomparso 30 anni fa. L’omaggio dei fratelli Servillo nel trentennale dalla dipartita dell’artista napoletano è un saluto divertente e delicato, un’ossequioso rifacimento, un inchino ad uno degli spiriti più sensibili dello scorso secolo.

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Il successo dello spettacolo, trasmesso anche in diretta sulla Rai, con una regia d’eccezione: quella di Paolo Sorrentino, è uno smacco nei confronti di un popolo, quello napoletano e forse italiano, che pare aver dimenticato uno dei maggiori esponenti del teatro del XX secolo, come dimostra un video recentemente girato nella città di Napoli in cui i più giovani non sanno nemmeno chi sia Eduardo de Filippo (forse perché a scuola nemmeno viene citato?).

Ma veniamo allo spettacolo: l’emozione mia e degli spettatori è palpabile ancor prima di varcare la soglia del Teatro San Ferdinando, il teatro acquistato proprio da Eduardo de Filippo nel 1948, subito dopo la guerra, il quale investì in questa fabbrica di sogni tutti i suoi risparmi, arrivando ad indebitarsi con le banche per amore dell’arte.

La trama dell’opera è crudelmente semplice: Alberto Saporito (Tony Servillo) sogna che un suo caro amico viene assassinato dai vicini di casa, la famiglia Cimmaruta. Con la complicità di suo fratello Carlo (Peppe Servillo), Alberto fa incriminare i vicini, perché pienamente convinto che l’omicidio sia stato commesso. Scoperto il malinteso, iniziano a susseguirsi una serie di tragicomiche accuse incrociate tra i vari personaggi, che finiscono per credere che il delitto sia veramente avvenuto…

La commedia è una perenne sospensione: siamo sospesi tra sogno e realtà, per tutta la piéce non riusciamo mai a distinguere chiaramente dove incomincia l’uno e dove finisce l’altra; siamo sospesi tra menzogna e verità, quando scattano sospetti e accuse tra i personaggi o negli intrighi architettati da Carlo per avere per sé l’eredità del padre; siamo sospesi tra la parola, foriera di discordie e fraintendimenti, e il silenzio perfetto di Zì Nicola, outsider per scelta in un mondo senza futuro.

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La coscienza sporca, indagata con estrema eleganza, insinuata attraverso il sospetto e le reciproche accuse tra i componenti dello stesso nucleo familiare e la caduta di valori, tra i quali la famiglia, vengono denunciati senza intento esplicitamente pedagogico ma in maniera estremamente realista: è questo che rende grande “Le voci di dentro”.

Con la sua penna signorile e arguta, Eduardo dipinge un mondo senza speranza, ma il suo grido di dolore e di disprezzo per la società riesce a strappare comunque un sorriso, perché i napoletani affrontano così la sofferenza: con un sorriso, amaro, sempre.

Premettendo che l’interpretazione originale resta inarrivabile, quella dei fratelli Servillo è davvero notevole: Tony incanta con la sua voce profonda e la maschera espressiva del volto, Peppe è impressionante nella mimica e nella gestualità. Apprezzabilissima anche la performance degli altri attori della Compagnia dei Teatri Uniti, molto affiatati sul palcoscenico e fedelmente caratterizzati.

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E se è vero che il 90% degli spettatori era andato lì per vedere Servillo piuttosto che seguire la commedia di de Filippo, avere attori da Oscar amati dal pubblico  che riescono a fare avvicinare la massa ai grandi capolavori del teatro italiano, è un buon compromesso.

Vi lascio con le parole dell’attore campano e vi invito a guardare la commedia originale e, se vi va, prenotare i biglietti per le repliche di gennaio al Teatro Bellini:

Eduardo De Filippo – spiega Servillo – è il più straordinario e forse l’ultimo rappresentante di una drammaturgia contemporanea popolare, dopo di lui il prevalere dell’aspetto formale ha allontanato sempre più il teatro da una dimensione autenticamente popolare. […] E ancora oggi sembra che Alberto Saporito, personaggio-uomo, scenda dal palcoscenico per avvicinarsi allo spettatore dicendogli che la vicenda che si sta narrando lo riguarda, perché siamo tutti vittime, travolte dall’indifferenza, di un altro dopoguerra morale.”

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