di Giorgio Vargiu
Sono andato alla proiezione del Cinema Modernissimo a Napoli con l’intento di incrociare un regista che con i suoi film mi ha cresciuto. Nanni Moretti mi ha fatto ridere, riflettere, arrabbiare e piangere, lo collego ad un amicizia con la quale ho condiviso le sue battute imparate a memoria, e mi dovevo concedere l’opportunità di ascoltarlo di persona. Quello che ho scritto viene fuori proprio da tutto questo, dall’averlo sentito rispondere alle domande che gli hanno posto e che hanno chiarito alcune sue scelte registiche, dall’averlo visto commosso all’ascolto di una testimonianza vera di una lontana amica di sua madre presente in sala, dall’aver potuto sorridere con lui durante la proiezione di alcune scene tagliate che ha voluto mostrarci, dall’essersi concesso a selfie e foto e aver accettato col sorriso una Sacher Torte che un gruppo di fan gli ha regalato.L’universo femminile raccontato attraverso gli occhi di un regista come Nanni Moretti non può lasciare indifferenti. Di più, nel titolo “Mia madre” ritroviamo la volontà di un figlio che omaggia a distanza di circa 5 anni dalla sua morte, la figura che lo ha cresciuto, educato e probabilmente cibato di cultura per permettergli di arrivare dove è oggi. Per quanto la protagonista sia un’altra figura femminile, Margherita (Margherita Buy), figlia della madre del titolo, e sorella del protagonista maschile, Giovanni, che Moretti ritaglia per sé. Margherita è una regista impegnata nelle riprese del suo ultimo film, un omaggio alla classe operaia italiana che non si arrende di fronte le difficoltà di un lavoro in fabbrica, dell’ennesima acquisizione da parte di una holding internazionale e della lotta contro il nuovo imprenditore straniero, impersonato dall’attore americano Barry Huggins (John Turturro), personaggio che ci permette di sorridere spensieratamente quando è in scena, nonostante ci troviamo alle prese con un vero e proprio film drammatico (fazzoletti e lacrime alla fine intorno a me in sala me lo hanno confermato). La madre di Margherita e Giovanni è in ospedale, ad affrontare la sua ultima battaglia nei confronti di una vita piena e orgogliosa, ma che ha deciso di abbandonarla. I figli le sono accanto, ma mentre Giovanni è in grado di capire da subito ogni parere medico e guardare verso l’ineluttabile, Margherita affronta con difficoltà e negazione, rifugiandosi nei meandri della sua mente.
Per questo sogno e realtà si confonderanno spesso, ritroverà se stessa da giovane concedendosi molteplici digressioni per non soffermarsi su quello che accade davvero, nonostante il risveglio torni prepotentemente ogni volta a chiederle il conto. Margherita ha una figlia che vive col padre, una separazione consapevole e che li ritrova complici nell’educazione e nella crescita sana e spensierata che merita un’adolescente alle prese con il suo primo motorino, i suoi primi amori, la scarsa volontà di applicarsi nello studio del latino. E Il latino è importante, è il ponte che la unisce alla nonna morente, ex insegnante in congedo da anni ma circondata anche in questo momento così complicato dagli ex allievi che tornano a trovarla di tanto in tanto e che raccontano a Margherita una storia diversa, una storia che non ha vissuto in prima persona e che la spinge sempre più alla ricerca dei motivi del suo distacco dalla madre, dalla vita, da tutto. Lei ha sempre rivolto lo sguardo su se stessa, e proprio non riesce a fare i conti con la vita che preme per entrare, per mettersi di fronte, offuscando la sua immagine nello specchio e costringerla così a guardarsi intorno.
Lo faranno gli altri, cercando di riportarla più volte sul piano del confronto: l’attore amante che la rimprovera e le vomita addosso il suo egoismo; Barry Huggins che scimmiotta se stesso, gioca, si infuria ma poi si confida, riportando il giusto equilibrio durante le riprese; Giovanni, che tace la sua decisione di abbandonare il lavoro per dedicarsi al tempo del commiato dalla madre, e le ricorda costantemente di doversi preparare, di dover vivere il presente con più partecipazione e di smetterla di non vedere. Margherita passa dalla rabbia della negazione, alla tristezza della rassegnazione, in un cammino che la vede figlia, sorella, madre, ex moglie, amante e lavoratrice. La vita insomma, con i ruoli che tutti ricopriamo ogni giorno senza mai soffermarci su ognuno di essi, in lei prendono tempo per venir fuori uno ad uno, fino a porla nuovamente di fronte a se. Ma stavolta dovrà soffermarsi più a lungo, e sarà con il suo ultimo sguardo in camera che vivremo la sua consapevolezza. Dovrà fare i conti con la sofferenza, con la rassegnazione e sarà obbligata a vedere oltre, ad alzare lo sguardo.La struttura è semplice e lineare, certo il surrealismo onirico spesso confonde lo spettatore, non sappiamo più bene cosa stiamo guardando, ma Moretti è stato chiaro, vuole destabilizzarci per darci la sensazione di cosa stia attraversando la mente della protagonista. Niente è stato lasciato al caso, la casa della madre in cui Margherita è costretta a rifugiarsi dopo un “deus ex machina” è venuta fuori dal confronto con la scenografa, ma anche qui il regista confessa di aver ritrovato poi una forte similitudine con la casa materna. La presenza di tre generazioni femminili osservate dall’esterno dagli uomini che attorno vi ruotano, è una scelta consapevole di un regista che ha deciso di mettersi in disparte per lasciare la parola alla sensibilità.
Fragile ma forte, esplicito e compassionevole, Mia Madre di Nanni Moretti forse non verrà ricordato come un capolavoro, forse non vincerà Cannes, ma riporta al lato umano della vita, che nella morte vede la sua massima espressione, e se attorno a me ho sentito singhiozzi e lacrime e visto fazzoletti anche quando ormai le luci della sala erano accese, non posso negare di aver approfittato del buio dei titoli di coda per lasciar asciugare i miei occhi lucidi.
Giorgio Vargiu è visual designer per labout, agenzia che si occupa di web design, brand identity, iPhone app design, montaggio video e motion graphic.