Orson Welles, di sicuro uno degli artisti più poliedrici del Novecento, è passato dal teatro alla radio fino ad arrivare al cinema. Grazie alla sua fama di genio rivoluzionatore del linguaggio dei media, ha fatto il suo ingresso a Hollywood dalla porta principale.
Forte di una sensazionale carriera teatrale e reduce dal clamore suscitato dalla famosa beffa radiofonica de “La guerra dei mondi”, un romanzo di Herbert George Wells, attualizzato in stile cronaca che ha fatto credere a gran parte degli Stati Uniti di essere sotto attacco dei marziani, Welles a soli 23 anni viene ingaggiato dalla casa produttrice RKO che gli concede assoluta libertà per la realizzazione dei suoi film. La casa produttrice voleva assicurarsi con Welles un nome prestigioso, correndo allo stesso tempo il rischio di imbattersi in un soggetto incline alla trasgressione delle regole e difficilmente irreggimentabile ; in questo modo voleva lanciare una nuova immagine dello studio che fosse competitiva rispetto alle altre majors.
Il successo arrivò con il film “Quarto potere” del 1941, considerato il più bel film della storia del cinema. Il film risulterà un successo per la critica e per gli addetti ai lavori, ma non per il pubblico. La completa disfatta arriverà con il film successivo, “L’orgoglio degli Amberson” del 1942. Infatti, dopo l’ uscita del film, non solo Welles verrà licenziato dalla RKO, ma la stessa casa produttrice distribuirà una versione del film manipolata in sede di montaggio. Welles lasciò dunque Hollywood a causa di varie difficoltà che lo portarono a trasferirsi in Europa dove continuò a fare cinema spesso autofinanziandosi.
Il suo è un modo di narrare eccessivo da molti punti di vista, da quello tematico a quello morale e psicologico, ma soprattutto tecnico, rintracciabile in tutte le sue opere. Sono caratteristiche che vengono di volta in volta coniugate in direzioni diverse, ma analoghe : dai film noir a quelli tratti da una base letteraria o direttamente da Shakespeare. Attualmente riconosciuto come uno dei più grandi cineasti del ventesimo secolo, morì nel 1985 e con la sua morte è accresciuta anche la sua fama.
Questa volta mi voglio soffermare su un film in particolare, ossia “Quarto potere”. Il film racconta la vita di un magnate, Charles Foster Kane, interpretato dallo stesso Welles, attraverso un reportage fatto da un giornalista di nome Thompson che cercherà di scoprire il senso delle sue ultime parole attraverso delle interviste fatte a 5 persone che conoscevano bene Kane. Il tutto mostrandoci la vita del protagonista attraverso varie fasi della sua vita, dall’infanzia all’ età adulta fino alla vecchiaia e quindi alla sua morte. Welles si serve di una sequenza di flashback che ci mostra i vari pezzi della vita di Kane e lascia che sia lo spettatore a metterli insieme e a ricomporre la sua personalità. L’innovazione più importante del film è l’uso della profondità di campo e del piano sequenza con conseguente rottura della quarta parete, per cui la cinepresa non è più uno strumento che ci mostra il punto di vista dei personaggi, ma è il vero e proprio sguardo del regista, che riesce a cogliere cose che i personaggi non capiranno mai. Inoltre il regista riesce a fondere elementi del cinema e del teatro, utilizza complessi giochi di luci e ombre e distorsioni di immagini che ottengono diversi effetti visivi e simbolici. Attraverso la vita di Kane viene affrontato il tema storico delle origini del capitalismo, ma anche l’aspetto esistenziale legato alla rappresentazione dell’individuo in contrasto ideologico morale con la società di cui fa parte, legato ad una volontà di potere a dispetto della debolezza dell’io, connessa alla perdita dell’ infanzia.
Il fine ultimo di Orson Welles è quello di mostrare il senso del film attraverso lo stile, dilatando tempo e spazio dell’inquadratura e della sequenza, ricorrendo frequentemente a piani sequenza e profondità di campo, a montaggi specifici anche a livello sonoro, il tutto all’interno di realtà iconograficamente molto forti e scenograficamente complesse. Con “Quarto potere” Welles ha inaugurato un nuovo modo di narrare e, a mio parere, anche un nuovo modo di entrare in contatto con lo spettatore, rendendolo parte integrante della sua arte.
“Ho cominciato dalla cima e mi sono fatto strada verso il fondo.”