Il velluto è un tessuto che il senso comune associa al piacere di sensi come vista e tatto. Sarà per questo motivo che a questa voluttuosa stoffa ci si è ispirati per il nome della rinomata Red Velvet, torta che, oltre ad aggradare la vista con un accattivante accostamento di colori e allietare il tatto con la sua soffice consistenza, appaga anche l’olfatto con il suo aroma inconfondibile e soprattutto il gusto con una combinazione di sapori che si sciolgono in bocca. Sembrerebbe rimanere fuori solo l’udito ma, a ben pensarci, se sussurrato all’orecchio, il suo nome ha un tonalità decisamente sensuale.
Una consapevole scelta di ingredienti di qualità, un giusto equilibrio nelle dosi degli ingredienti, una cura per la geometria degli strati rendono la red velvet una torta pregiata, ricercata, ma di difficile realizzazione. Diffidate da chi utilizza pan di spagna e panna dolce, italianizzando un prodotto dagli attributi tipicamente statunitensi: è fondamentale che i tre strati che compongono la nivea farcitura siano crema al formaggio, crema alla vaniglia e buttercream, mentre la glassa che avvolge il dolce è una nevosa coperta di yogurt magro. Perciò occhio alle riproduzioni scadenti: in un’epoca in cui per assaggiare prodotti tipici delle cucine estere non è necessario percorrere migliaia di chilometri, molte pasticcerie e caffetterie provano a riprodurla con scarsi esiti.
Come tutti i piatti tipici di una determinata cultura, anche le origini della red velvet affondano le radici in storie metropolitane che accrescono il suo sapore con un ingrediente segreto: la tradizione. La più famosa leggenda è ambientata nella New York degli anni ’20 del secolo scorso, precisamente nel lussuoso Walford Astoria Hotel (da cui deriverebbe “Walford Cake”, un altro dei suoi nomi alternativi): stando a quanto si racconta, la red velvet sarebbe un’invenzione degli chef dell’albergo, che ne ebbero l’esclusiva fino a quando una viaggiatrice californiana, ammaliata dal gusto della torta, riuscì a farsi concedere la ricetta che dovette, però, pagare a caro prezzo: nel conto per il dolce fu infatti inserito un cospicuo extra da saldare per la concessione culinaria. Purtroppo la legge non fu dalla sua parte, ma la donna seppe come applicarla a suo vendicativo vantaggio: avendo acquistato la ricetta iniziò a distribuirla ai passanti su foglietti di carta, favorendone la sua diffusione e popolarità. Altra leggenda colloca invece la nascita del rubicondo dessert un decennio dopo, ai tempi della Grande Depressione: John Adams, titolare di una società di coloranti alimentari che all’epoca stava fallendo, ebbe la brillante idea di promuovere i suoi prodotti tappezzando gli alimentari del Midwest con manifesti che “ritraevano” attraenti torte cremisi e sponsorizzavano una nuova promozione: la ricetta della misteriosa ma allettante torta sarebbe stata data in omaggio a chi acquistava due campioncini di colorante. Una strategia degna di Donald Draper in Mad Man!
L’origine più accreditata e storicamente valida è collocata più indietro nel tempo e molto più a sud degli States: la red velvet sarebbe tipica della cucina della comunità nera d’America e, anzi, ne costituirebbe una pietanza celebrativa. E’ un piatto caratteristico, infatti, dello Juneteenth, ricorrenza che celebra la fine della guerra civile, conclusasi nel 19 giugno del 1865, due anni dopo il Proclama di Emancipazione firmato da Abraham Lincoln: il rosso che contraddistingue la torta non avrebbe una funzione meramente decorativa, ma commemorerebbe il sangue versato dagli schiavi per conquistarsi la libertà. Resta un mistero se per colorarla di rosso in un epoca in cui non esistevano coloranti, si utilizzassero barbabietole o se il cacao fosse meno alcalino di quello attuale per cui, reagendo con il bicarbonato, sarebbe diventato rossastro anziché marrone come avviene oggi senza l’aggiunta del colorante.
Di per sé basterebbe a rendere la red velvet così famosa già solo questo abbinamento tra folklore e sapore, ma ad amplificarne il successo negli ultimi anni, rendendolo un vero e proprio must della cultura popolare richiestissimo nelle bakery, ci hanno pensato i media e lo star system:
– Nel film “Fiori d’acciaio” Julia Roberts affetta come torta nuziale una red velvet a forma di armadillo, un dessert così kitsch da restare impresso nell’immaginario comune
– Anche nel telefilm “Grey’s Anatomy” è la torta nuziale dello sfortunato matrimonio tra il sex symbol Preston Burke e l’idolatrata Cristina Yang
– Jessica Simpson scelse come torta per il suo wedding party con Nick Lachey proprio una versione esagonale e torreggiante della red velvetE soprattutto di recente Emma Stone ha fatto impazzire i suoi fan con un saggio consiglio da seguire di fronte una velvet cake:
Non sarà un caso che un altro nome con cui la red velvet è conosciuta nella terra d’origine, gli Stati Uniti, è Devil’s Food Cake: costituisce una di quelle diaboliche tentazioni per le quali senza esitare un goloso lastricherebbe la sua strada per l’inferno con la buona intenzione di allietare il palato. Che aspettate anche voi a provare questi rossi bocconi di libidine?
“Sei un essere umano, si vive una sola volta e la vita è meravigliosa, perciò mangia quell maledetta Red Velvet”