Riscoprire la città, con i suoi monumenti, i musei, le bellezze architettoniche è un modo per riappropriarsi della vita che “ci è stata sottratta” nell’ultimo anno: proprio per questo lo scorso weekend abbiamo deciso di visitare la Fondazione Prada, il risultato della trasformazione di una distilleria risalente agli anni dieci del Novecento situata in Largo Isarco, nella zona sud di Milano.
Questo complesso architettonico – che combina edifici preesistenti e tre nuove costruzioni (Podium, Cinema e Torre) – si espande su 19.000 m2 e ha influenzato la riqualificazione di tutto il quartiere circostante.
Appena si varca la soglia della Fondazione Prada, i sensi vengono subito coinvolti da una serie contrastanti di stimoli visivi: ci si sente spaesati e contemporaneamente meravigliati tra le geometrie e gli spazi che si formano tra gli edifici che compongono il complesso architettonico. Tanta luce, riflessa, dispersa, risucchiata dall’assenza stessa di colori: un viaggio tra sfumature del bianco e del grigio che culmina con l’oro intenso del Podium da cui si fa accesso allo spazio espositivo temporaneo.
Il progetto della Fondazione Prada non è un’opera di conservazione e nemmeno l’ideazione di una nuova architettura. Queste due dimensioni coesistono, pur rimanendo distinte, e si confrontano reciprocamente in un processo di continua interazione, quasi fossero frammenti destinati a non formare mai un’immagine unica e definita, in cui un elemento prevale sugli altri. Vecchio e nuovo, orizzontale e verticale, ampio e stretto, bianco e nero, aperto e chiuso: questi contrasti stabiliscono la varietà di opposizioni che descrive la natura della nuova Fondazione.
Rem Koolhaas
Who the Bær – Simon Fujiwara (esposizione temporanea)
Iniziamo a visitare la Fondazione Prada partendo proprio dal Podium che ospita fino al 27 settembre 2021 la mostra di Simon Fujiwara e del suo ors* alla ricerca di identità, di storia, di appartenenza, di uno scopo, che cerca di definire sé stesso attraverso le immagini e le icone del mondo contemporaneo. La mostra Who the Bær si articola in un labirinto interamente di cartone, che ci guida attraverso la nascita e la definizione del personaggio, delle sue avventure, della sua ricerca di identità e di un posto nel mondo. Attraverso il semplice linguaggio visivo (in alcuni casi audio-visivo) il messaggio dell’artista arriva forte chiaro (ai più e ai meno avvezzi all’arte contemporanea) perché si presta ad una interpretazione su più livelli: concettuale, semiotica, tecnico-artistica. Lo spettatore si ritrova ad immedesimarsi nel personaggio, nella sua ricerca di un sé attraverso l’iconografia contemporanea (e il suo dissacrante smantellamento).
La Torre e il progetto Atlas (esposizione permanente)
Il vero gioiello della Fondazione Prada è la Torre, che ospita il progetto Atlas: una cornice espositiva su più piani (anche prendere l’ascensore è un’esperienza nell’esperienza! Non perdetevelo) che ospita in maniera permanente opere della Collezione Prada di artisti come Carla Accardi e Jeff Koons, Walter De Maria, Michael Heizer e Pino Pascali, William N. Copley e Damien Hirst, John Baldessari e Carsten Höller.
Un crescendo di emozioni diverse e contrastanti, che partono da “Tulips” (1995-2004) di Jeff Koons, con il suo coloratissimo bouquet di tulipani, alle sempre disturbanti ed evocative opere di Damien Hirst all’ottavo piano della Torre. Un processo artistico che coinvolge e sconvolge, fino ad arrivare alla celeberrima (e fotografatissima) opera “Upside Down” di Carsten Höller all’ultimo piano, che ci proietta in uno scenario da Alice nel Paese delle Meraviglie, prima disorientandoci in un labirinto completamente buio dove si perde ogni riferimento, e poi “vomitandoci” in uno spazio in cui la realtà è sovvertita, dove siamo piccoli piccoli con funghi giganti in un sottosopra che diventa soprattutto emotivo.
“Tulips” di Jeff Koons “Tulips” di Jeff Koons “Tulips” di Jeff Koons
“Upside Down” di Carsten Höller “Upside Down” di Carsten Höller “Upside Down” di Carsten Höller
Perché visitare la Fondazione Prada a Milano quindi?
Perché senza volerlo ci porta in un viaggio interiore che noi stessi non pensavamo di fare varcando la soglia. Spesso molte persone tentano di razionalizzare opere il cui potere è rappresentato dal concettuale: bisogna approcciarsi in maniera più filosofica che analitica, lasciarci attraversare dalle vibrazioni che scuotono la nostra percezione, spesso strappandoci dalla nostra comfort zone. Visitare la Fondazione Prada è un viaggio sensoriale che si trasforma, se ci mostriamo aperti, in un trip concettuale, filosofico, addirittura spirituale.
In questo periodo di restrizioni e di stallo fisico e mentale, si può, anzi si deve trovare evasione attraverso l’arte, e alla Fondazione Prada non è necessario rinunciare ad attività conviviali come un aperitivo o una cena.
Potete abbinare la visita ad una cena al Ristorante Torre, ospitato al sesto piano dell’omonimo edificio della Fondazione Prada, con le proposte dello chef Lorenzo Lunghi, dove opere d’arte ed elementi di design fanno da cornice ad una vista sull’intero skyline di Milano che si può ammirare dalla terrazza o attraverso le vetrate. Oppure potete terminare la visita bevendo qualcosa al Bar Luce, progettato dal regista americano Wes Anderson nel 2015, che ricrea le atmosfere di un tipico caffè della vecchia Milano: il posto perfetto dove discutere delle opere appena viste davanti ad un drink o a un caffé.
Buona visita e buona fuga dalla realtà!