Se vi dico teatro qual è la prima cosa che vi viene in mente? A molti di voi sicuramente maschera. Altri risponderanno: sipario, palcoscenico, quinte, attori. Ma subito dopo c’è di nuovo lei, la maschera; ammettetelo!
Non vi sembra un po’ un controsenso? Se ci pensate bene, maschera e teatro non hanno niente in comune. Sono rari gli spettacoli in cui gli attanti indossano maschere e questo perché, ormai, è l’attore con il suo costume per intero la “vera” maschera.
Allora perché questa associazione così immediata? D’altronde l’uso strettamente legato alle performance teatrali è da ricondursi esclusivamente all’età ellenistica, quando le maschere avevano la doppia funzione di caratterizzare il personaggio (vi ricordo che i maschietti interpretavano anche ruoli femminili, pertanto la maschera aiutava a camuffarli) e di fungere da cassa di risonanza per amplificare la voce e migliorare l’audio dei dialoghi.
Dopo l’età classica, infatti – eccezion fatta per feste tradizionali e popolari – è stato il travestimento a salire alla ribalta e l’atto di nascondere il viso divenne per lo più un’abitudine di dame e cortigiani che volevano “divertirsi” durante le feste a corte – da lì la consacrazione della maschera veneziana. Una piccola curiosità: sapete da dove deriva la maschera veneziana? Dai medici che durante il Medioevo indossavano la nota maschera con il becco lungo quando andavano in visita agli appestati. All’interno del lungo naso, infatti, venivano messe delle spezie odorose sia per attenuare i miasmi emanati dai corpi degli infetti, sia per avere una seppur debole difesa contro il contagio. Ecco perché è nota come “maschera dello speziale”.
Ma torniamo a noi. Spesso mi sono chiesta: come mai le maschere esercitano un fascino così forte nel nostro immaginario? Un fascino sicuramente ambivalente: molti le trovano inquietanti (cosa c’è di peggio di non sapere chi abbiamo di fronte?), molti altri le trovano davvero irresistibili sia nell’indossarle sia nel fantasticare su chi le porta. Ma una cosa è certa, indossare quella striscetta di stoffa/cartone/porcellana provoca un repentino cambiamento di personalità. La maschera è l’escamotage perfetto per darci delle “licenze”dalla nostra vita quotidiana. È così, infatti, per i supereroi dei fumetti – da quelli della Marvel ai manga giapponesi – con cui assumono addirittura un’identità diversa e diventano letteralmente irriconoscibili. (Ma solo io quando metto la mascherina a Carnevale, tutti mi salutano dicendo “Ciao Cinzia?” Mah, che rabbia!). La usano, oggi perfino gli amanti della tecnologia per cambiare l’estetica di smartphone e tablet ed è un topos molto frequente al cinema (come ne La maschera di ferro, Vanilla Sky e innumerevoli altri) nelle serie tv (è forse insieme all’episodio su Halloween tra i cliché più gettonati), per non parlare di arte e libri.
Tuttavia, il pregiudizio rimane. Nonostante la bellezza e il mistero, la maschera viene sempre associata a qualcosa che vogliamo tenere nascosto. “Indossa una maschera” è l’espressione più comune per additare una persona finta. Ma una personalità finta non è necessariamente falsa. Fingiamo di essere qualcun altro che non siamo di solito, ma quel qualcun’altro fa comunque parte di noi, anzi talvolta è la parte che scalpita nei recessi del nostro essere, ma per pudore e contegno la soffochiamo (vedi Harlem Shake di CULT!). Quindi, fingersi audaci e disinibiti anche se siamo topi da biblioteca 364 giorni all’anno, non vuol dire che quel lato di noi non esiste, semplicemente abbiamo remore a mostralo.
A me piace pensare che chi indossa una maschera (vera o metaforica che sia) non lo faccia né per ostentare la parte più vera di sé, né quella più finta. Io credo che la nostra identità sia un po’ come lavorare con una divisa. Abbiamo la nostra divisa 7 giorni su 7, una divisa che curiamo, che bene o male abbiamo scelto noi, che cerchiamo di diversificare un tantino ma a volte ci viene a noia.
Anche quando indossiamo il vestito più bello al mondo dopo un po’ ci vien voglia di un bel pigiamone largo con le ciabattone, non è vero? La maschera è questo. È spogliarsi dei “panni da lavoro” e mettere temporaneamente degli altri che indossiamo due o tre volte l’anno. Altri abiti che non necessariamente ci rendono migliori o peggiori, più o meno belli, più o meno sinceri, ma semplicemente diversi. E si sa che la diversità è il sapore della vita. E qual è il posto “dove tutto è finto, ma niente è falso”? Il teatro, per l’appunto. Quindi, cari lettori, quando potete indossate una maschera e spogliatevi della vostra quotidianità, o se proprio non fa per voi, andate a teatro. Il risultato è lo stesso!
1 comment
Ciao! Vorrei solo dire un grazie enorme per le informazioni che avete condiviso in questo blog! Di sicurò diverrò un vostro fa accanito!
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