Riprendere a parlare di musica in questo 2015 risulta più difficile di quanto si potesse prevedere, ora che il mondo della musica è stato scosso profondamente dalla prematura scomparsa di Pino Daniele. Di parole se ne sono già dette tante e tante ne verranno ancora dette, ma a più di un mese dalla sua scomparsa, è il momento di mettere da parte il comune sentimento di dolore che si prova nei giorni immediatamente successivi ad un evento così sconvolgente, per far spazio alla lucida razionalità, in modo da poter tirare le somme di una carriera formidabile, costellata di successi, per capire quanto la genialità del “nero a metà” mancherà alla città di Napoli.
Spesso in queste settimane si è assistito a scene di omaggio a Pino, ma purtroppo la maggior parte delle volte abbiamo assistito a un omaggio retorico che – come spesso avviene in questi casi – passa attraverso la cronistoria della carriera che non sempre riesce a dare quel calore che rendeva unico l’artista, anzi spesso sfocia in quella freddezza che contrasta con la passione del popolo partenopeo.
Solo rivivendo la rivoluzione della musica di Pino Daniele, si può consolidare per sempre la sua arte, nella speranza che possa ispirare le generazioni a venire ancora per molto tempo.
Napoli da sempre vive di musica, in tanti l’hanno suonata, da Cimarosa a Scarlatti, da Murolo a Senese, passando per Caruso, insomma ha sempre affascinato, ma il rapporto che teneva uniti Pino e la sua Napoli (intesa come città e come popolo) era differente rispetto agli artisti precedenti. Pino, anche se amava la sua Napoli in maniera incondizionata, la cantava, la portava in giro per il mondo e la osservava, lo facevo con occhio critico, di chi come si dice dalle nostre parti, ” nun se fir’ ‘e verè ‘e cos’ stort’ “, di chi non perdona gli “attacchi” alla sua città.
Quella tazzulella ‘e cafè, simbolo della Napoli classica, mascherava il malessere di un popolo che subiva da anni una violenza sociale e politica: la sua musica era spesso veicolo di denuncia sociale, dava voce ai terroni di Napoli. Ecco allora che la differenza coi suoi predecessori, diventa non solo stilistica ma anche dialettica e, paradossalmente, il fascino della città che lo ha sempre ispirato, evoca in lui un sentimento di disprezzo verso quei pochi napoletani che infangano la credibilità di tutta la città.
Egli stesso in un’intervista del ’79, pronuncia una frase simbolo di quella che è la sua produzione musicale futura: “ Io questa città la amo e la odio!”. Rompe quindi col passato e da inizio ad un nuovo modo di esprimere la napoletanità: per la prima volta, qualcuno anziché esaltare le meraviglie di Napoli, ne canta i problemi, dando così visibilità a quei disagi che per anni venivano mascherati dal classicismo; una trasposizione in musica del teatro di Eduardo. I suoi testi, diventano così il manifesto di un popolo. Si esprime con un linguaggio completamente nuovo e questa forse è la rivoluzione più importante della musica napoletana del ‘900, una rivoluzione stilistica, di forma, che pone Napoli al centro del mondo. Utilizza come veicolo per le sue parole la melodia blues, che in quegli anni è ancora appannaggio di pochi. Comincia così un processo di contaminazione che lo porterà sui palchi di tutto il mondo. É l’artista che più di tutti ha reso globale la musica napoletana, addirittura quella popolare, basti pensare a pezzi come I got the blues oppure Mo basta, mai prima di lui s’era sentita la musica d’oltreoceano parlare in lingua napoletana. Prima di lui solo Carosone aveva avviato un processo simile, aprendo le porte di Napoli al linguaggio jazz o i Napoli Centrale, che portarono la fusion dalle nostre parti: gruppo da cui Pino ha indubbiamente preso qualcosa, dato che ha fatto parte di questa formazione come bassista. Ma quest’ultimo ha traghettato definitivamente la tradizione verso l’innovazione, lo testimoniano anche le collaborazioni internazionali di cui si è reso protagonista, nella sua lunga carriera: da Eric Clapton a Richie Havens, da Chick Corea a Pat Metheny e Al Di Meola.
Si sentiva nero e non lo ha mai nascosto. E proprio come i neri dei ghetti americani, quelli del blues per intenderci, aveva voglia di cambiare le cose per non veder più violata la propria città e la propria gente. Il brano Voglio di più, tratto dall’album “Nero a metà” è forse il brano che racchiude tutta l’essenza della musica di Pino, crocevia sonoro di popoli molto distanti uniti dalla stessa voglia di riscatto. Spesso nei testi soprattutto dei suoi primi album, fondeva l’inglese, col napoletano arcaico o addirittura con termini ereditati dalla parlesia, l’antico linguaggio gergale dei posteggiatori napoletani proprio come nel caso di Tarumbò. Ha portato avanti per tutta la carriera un processo di fusione fra più stili, in primis il blues e il jazz, senza però mai perdere contatto con le proprie radici. Fornisce così al mondo una nuova visione di Napoli, una Napoli in evoluzione che s’affaccia sul mondo parlando un linguaggio universale, interpretato con i suoi strumenti tipici come il mandolino, forte di una identità secolare che partecipa al cambiamento. Il modo di cantare è nuovo, in netto contrasto con la classica fronn’ ‘e limon‘: la voce non è più protagonista, bensì fa parte della melodia e si incastra a perfezione nelle frasi ritmiche, senza mai rubare la scena alla composizione che così diviene un tutt’uno e la musica intesa come suono, assume una nuova e più importante identità introspettiva. Oltre agli strumenti stilistici e compositivi, l’inconfondibile legame esistente con la tradizione, è rappresentato anche e soprattutto dalla ritmica che è tutta partenopea e non può essere descritta a parole, ma solo chi vive questa città può capire a cosa mi riferisco.
1. CE STA CHI CE PENZA: uno dei primi esempi di canzone di denuncia sociale, in cui si legge già una primordiale contaminazione blues.
2. UE MAN: il primo esempio di blues made in Napoli.
3. VOGLIO DI PIÙ: un brano carico di rabbia e di denuncia in una realtà, quella di Napoli, dove essere giovani vuol dire non avere speranza nel proprio futuro se non altrove.“ Ho visto bambini morire e prestati al crimine, perchè nati sotto l’accento sbagliato. Questo pezzo è stato scritto nel 1980 ma la sua attualità è disarmante.
4. APPOCUNDRIA: un saggio di poesia cantata e suonata e soprattutto di chitarra, perchè oltre ad essere stato un immenso poeta ed interprete, è stato anche un grande chitarrista, non a caso nel 2010, fu invitato da Clapton al Crossroad guitar festival a Chicago.
5. MO BASTA parte(2), dall’album sciò live del 1984: per non dimenticare che era anche un ottimo performer live
Aggiungerei alla traccia 6 TARUMBÒ, alla 7 TUTTA N’ATA STORIA e concluderei con MO BASTA: non saprei motivarvi perchè proprio questi brani, ma ascoltateli e fatemi sapere se voi avreste avuto il coraggio di scartarli.
Queste tracce le ho selezionate solo dai primi quattro album e questo la dice lunga sulla qualità della sua produzione ed anche sulla difficoltà che ho incontrato per selezionare solo otto brani, perchè una cosa è certa, Pino Daniele non può essere rappresentato con poche canzoni, tanto è vasta e variegata la sua produzione, frutto di una carriera in continua evoluzione che lo ha visto partire da uno stile a metà fra il delta blues, la tarantella e la fusion, fino ad arrivare ad un jazz leggero e raffinato che ha caratterizzato grossa parte della produzione dei suoi ultimi anni.
Il suo passaggio alla storia è ormai cosa inevitabile, nella speranza che tutti possano ricordare la sua musica, il suo modo di cantare, di suonare la chitarra e il suo modo di stare sul palco. Mi auguro che restino nella memoria collettiva le immagini del suo concerto di piazza del plebiscito del 1981, quando la piazza la riempiva con la musica e non con la sua morte, perchè tutto il resto, dalle liti fra le sue compagne e quelle fra i figli ed i fratelli, non hanno importanza e danneggiano solo il lavoro di un uomo che amava ciò che faceva e lo faceva con la timidezza e la riservatezza che denotava una enorme semplicità.
Solo ora che rileggo l’articolo, mi accorgo di essermi riferito a lui quasi sempre chiamandolo Pino, perchè possono dire qualunque cosa riguardo il fatto che era andato via da Napoli e sul fatto che non cantava più di Napoli, ma Pino è stato e resterà per sempre uno di noi, il vicino di casa c’a tutt’e juorne ridenno va’a faticà. CIÀ PINÙ!!!