Nella guerra combattuta dalle major dell’entertainment per invadere il nostro immaginario collettivo e distrarci dai veri drammi del mondo, le serie tv sono diventate il territorio più ambito, a tal punto che stanno scalzando anche l’industria cinematografica.
Il titolo dell’articolo è un esplicito omaggio a COME UN ROMANZO, libro in cui Daniel Pennac postula un decalogo dei diritti imprescindibili di ogni lettore. Il papà della meravigliosamente disfunzionale famiglia Malaussene, tra l’alto uno che di serialità letteraria se ne intende visto che la sua saga familiare continua a sfornare nuovi capitoli, scrive questo breve pamphlet in difesa non della lettura (che di apologeti dell’importanza di leggere ce ne sono a iosa), ma dei lettori e dei diritti che concernono l’atto di leggere.
Ispirandomi al noto decalogo dello scrittore francese, mi sono interrogato sui diritti dello spettatore seriale enucleando una risposta in altrettanti dieci punti.
1. Il Diritto di NON vedere serie tv
Diversamente dalla lettura, troppo spesso percepita in età scolare come un imperativo che per reazione oppositiva può essere automaticamente rifiutata, difficilmente sentiremo dire da un genitore illuminato “devi guardare serie tv almeno due ore al giorno”, “i telefilm sviluppano il tuo senso critico“. Pertanto il buon rapporto con i telefilm non è inficiato da conflitto generazionale o dalla tendenza al pensiero convergente veicolata dal modello scolastico. Ciononostante, anche guardare serie tv – come leggere un libro – deve essere un piccolo piacere da ritagliarsi nel (sempre meno) tempo libero. Perciò, anche se siamo dei serial lover incalliti, che temono di restare troppo dietro con la programmazione del sempre più vasto miasma seriale offerto da piattaforme di streaming, reti satellitari e servizi on demand, sentiamoci liberi ogni tanto di preferire un buon libro, un film al cinema, una passeggiata.
Poi potremo ritornare più felici alla visione degli intrighi di potere di HOUSE OF CARDS.
2. Il diritto di saltare un episodio
Ormai la sceneggiatura delle serie tv ha raggiunto vette così elevate e intricate, che viene dato sempre più spazio alla trama orizzontale, ovvero quella che non si sviluppa in un singolo episodio, ma che puntata dopo puntata si dipana nell’arco di una stagione, se non addirittura di un’intera serie. Ebbene il diritto di saltare un episodio rivendica l’importanza di godere di un singolo episodio senza aver bisogno di conoscere tutti gli eventi incasellati di una trama. Ogni buon prodotto seriale dovrebbe presentare episodi con una trama verticale godibile senza aver visto in ordine rigorosamente cronologico tutte le puntate di tutte le altre nove stagioni precedenti.
Invogliare a proseguire la serie è sicuramente il fine di ogni sceneggiatore, ma non trascurare quello che si sta raccontando nel singolo episodio dovrebbe essere obiettivo primario di ogni bravo sceneggiatore. Sinceramente vedere interi episodi di nulla narrativo mirati al cliffhanger del quarantacinquesimo minuto ha anche un po’ stufato. Eh sì, sto parlando proprio a a voi, pigri sceneggiatori di THE WALKING DEAD che in alcuni episodi dimenticate anche di mettere gli zombie!
3. Il diritto di NON finire una serie tv
L’anelito alla completezza, l’obbligo morale (?) di andare fino al fondo del barile narrativo insieme agli sceneggiatori che non si sono vergognati di raschiarlo rovina decisamente il piacere di vedere le serie tv. Lo ammetto candidamente e senza vergognarmene: non sono riuscito ad andare oltre il terzo episodio di SENSE 8 e probabilmente non vedrò mai l’ultima stagione di quell’inno al trash che è diventato TRUE BLOOD.
4. Il diritto di rivedere una serie tv
L’offerta di prodotti televisivi è diventata così variegata che, appena si conclude una stagione, bisogna aver già programmato la visione della prossima per evitare di restare troppo indietro con tutte le nuove uscite che, settimana dopo settimana, riempiono di notifiche l’app di TV Show Time. Ma, ogni tanto, cosa c’è di più bello di scavare nella lista dei già visti e godersi qualche episodio random della propria sit-com preferita? Fare un tuffo negli anni ’90 di FRIENDS per bere un cappuccino al Central Perk o diventare ipocondriaci guardando una bella indagine clinica del DOTTOR HOUSE, sapendo già qual è la diagnosi del malcapitato (lupus ovviamente!), ha per me un vero e proprio effetto ristorativo. Non è una forma di nostalgia, ma più la sensazione piacevole che si prova quando dopo un lungo viaggio si torna a casa.
5. Il diritto di vedere qualsiasi serie
Basta con il classismo. Non tutti i telefilm possono essere piccoli capolavori come la prima stagione di TRUE DETECTIVE, come BREAKING BAD o come i SOPRANO. Un vero serial lover sa anche apprezzare la seconda stagione di TRUE DETECTIVE. Non demonizzate la vostra migliore amica per la sua smodata passione per VAMPIRE DIARIES o il grafico obeso che lavora di fronte la vostra scrivania soltanto perché durante la pausa pranzo sgranocchia arachidi caramellate guardando la nuova stagione di MY LITTLE PONY. E nemmeno i vostri genitori che la sera guardano UN POSTO AL SOLE inciuciando sui protagonisti come se fossero dei loro vicini di casa.
Ovviamente questo discorso si applica solo se il serial lover in questione ha visto MAD MEN, pertanto applicherò al quinto diritto del lettore un corollario
5.1 Il diritto di vedere qualsiasi telefilm si applica solo dopo aver adempito al dovere di vedere MAD MEN.
5.2 BOJACK HORSEMAN viene prima di tutto (secondo corollario a sorpresa quanto doveroso)
6. Il diritto al bovarismo nadirismo
Così come il bovarismo deve il suo nome a Emma Bovary, personaggio letterario di Gustave Flaubert che incarna il bisogno di sfuggire alla monotonia rifugiandosi in mondi irreali, il termine nadirismo è ispirato Abed Nadir, protagonista della sit-com COMMUNITY. Nel telefilm lo studente, che presenta dei tratti di personalità riconducibili alla sindrome di Asperger, sembra consapevole di vivere in una serie televisiva e molto spesso è in grado di prevedere la direzione in cui la trama dell’episodio sta andando a causa della sua profonda conoscenza dei meccanismi narrativi tipici di quel linguaggio. Ciononostante egli ama così tanto la fiction da contribuire con le sue idee e i suoi comportamenti al dispiegamento di quei cliché. Ebbene lo spettatore seriale è un Abed Nadir nel mondo reale, ovviamente non nel senso che ha la sindrome di Asperger e che dà di matto se non guarda la nuova puntata di BIG BANG THEORY dal suo posto preferito sul divano .
Le serie tv ripropongono un sofisticato meccanismo psicologico del pensiero narrativo (quello che per Jerome Bruner è complementare al pensiero logico-matematico) per cui l’uomo ha perennemente bisogno di un equilibrio tra il canonico e l’inaspettato, tra l’ordinario e lo straordinario. Per dare un senso agli eventi quotidiani e dare nuovo senso a quelli inaspettati, routine e periodica rottura di quest’ultima sono ugualmente necessari. Ce ne parlava già Edmund Burke quando definiva gli script in ambito psicologico, come quei copioni su cui si basa la conoscenza di certi eventi che si ripetono sempre uguali e che fungono da guida al comportamento umano fin dall’infanzia. La maggior parte delle serie fa altrettanto, creando dei copioni che abituano gli spettatori per poi stupirli con rotture dello schema cui fa seguito uno sviluppo che riporterà a uno status quo molto simile se non identico a quello iniziale.
È una sorta di avvolgente spirale in cui lo spettatore seriale affetto da nadirismo ama cullarsi per fuggire dal quotidiano e per rifugiarsi in un’altra realtà che alterna imprevedibile routine e routinaria imprevedibilità.
7. Il diritto di vedere una serie tv in qualsiasi momento (e soprattutto quando ci va!)
Mentre con il settimo diritto del lettore (quello di leggere ovunque) Daniel Pennac sottolineava l’importanza della dimensione spaziale per la lettura, quello dello spettatore focalizza sulla dimensione temporale. D’altronde internet e i tablet permettono di accedere ai propri contenuti multimediali dal più recondito angolo della Terra (anche in quelli senza connessione, basta essersi premurati di averli scaricati su un hard disk). Adesso che il dove non è quasi più un problema, quello del quando è decisamente più urgente dal momento che sembriamo avere sempre meno tempo a disposizione per fare ciò che amiamo. Di notte, di giorno, in pausa pranzo al lavoro, alla fermata dove aspettiamo Godot (è il nome che ho dato alla metro): ogni occasione è l’attimo fuggente da cogliere al volo per vedere un nuovo episodio della serie tv, l’importante è farlo quando ci va e non obbligatoriamente entro le prime 24 ore dalla messa in onda dell’episodio per evitare gli spoileratori de IL TRONO DI SPADE sulla proprio bacheca facebook!
8. Il diritto di attendere
Anche io non ho resistito all’impulso di organizzare la maratona STRANGER THINGS al debutto della seconda stagione (miseramente fallita al secondo episodio, quando la mia ragazza è stata la prima a cedere alle lusinghe di Morfeo), però mi sento di dire con una certa nota di presunzione che la scimmia del binge-watching è pericolosa tanto quanto il demone dello spoiler. Pensiamo a LOST, che nonostante i difetti strutturali e contenutistici trapelati mano a mano che ci si avvicinava al finale (quello che sicuramente gli sceneggiatori avevano in mente fin dal pilot), è stato indubbiamente un vero e proprio spartiacque nel cosmo della serialità televisiva. Un telefilm come quello ideato da J.J Abrams, Lindelof e co. avrebbe avuto lo stesso successo se fosse stato possibile vederlo in binge-watching?
Non è mia banale intenzione reclamare come uno spot che ‘l’attesa del piacere è essa stessa il piacere‘, ma sicuramente quel lasso di tempo tra un episodio e l’altro, che permette di sviluppare teorie, imbastire discussioni con amici davanti una pinta di scura e partecipare a flame sui più beceri forum dell’internetto, diventa un periodo che permette di affezionarsi a quel micro-mondo immaginario.
Vi faccio un’altra domanda: vi siete mai innamorati di una serie che avete visto in binge-watching?
9. Il diritto di binge-watching
Ebbene, il diritto di attendere non esclude questa sorta di bulimia alimentata da preziose risorse come NETFLIX, che se gestita con una certa moderazione diventa una pratica piacevole, soprattutto se goduta in compagnia. Senza farsi travolgere, ogni tanto concedersi la propria schiena alla scimmia del binge-watching rende memorabili alcune domeniche pomeriggio. Una comoda tuta, un soffice plaid e una cioccolata calda fanno. Occhio solo a scegliere la serie giusta (caldamente consigliate quelle tra i 6 e i 12 episodi). Sto già pregustando il binge-watching per la seconda di JESSICA JONES e la quinta di ORANGE IS THE NEW BLACK, ma intanto mi godo il recupero di DOWNTOWN ABBEY e la release settimana per settimana di VIKINGS senza affannarmi.
10. Il diritto di commentare
Negli ultimi anni, lo spoiler sembra diventato lo sport nazionale di alcuni (gli indemoniati), lo spauracchio mortale di altri (gli esorcisti). La verità è che non sapere gestire gli spoiler (sia quelli in input che quelli output) è soltanto una cattiva educazione al commento che a volte denota anche una certa incapacità di fare o leggere la critica. Certo gli spoiler possono essere fastidiosi, ma a volte lo sono anche i fanatici dell’anti-spoiler che distruggono qualsiasi possibilità di argomentazione e discussione pur di non incappare nel più banale degli eventi (del tipo Ted e Robin si incontrano a MacLaren’s). Per non parlare di chi reputa uno spoiler emotivo commenti come “è stato un bell’episodio’!
Insomma se è vero che l‘uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale; che vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo; allora potrebbe essere anche vero che esplora il mondo perché è unico, ma guarda telefilm perché si sa seriale!