La frase “Teletrasportami, Scotty” riporta a una delle scene più affascinanti della cinematografia fantascientifica, quella in cui l’equipaggio “startrekiano” dell’Enterprisesi rimaterializza a chilometri di distanza dalla nave spaziale dopo essere stato disgregato da un fantomatico scanner molecolare. Chi di voi non ha mai desiderato di teletrasportarsi in posti esotici e lontani, o semplicemente nel proprio letto in un momento di incontrollabile stanchezza?
Ebbene sarete contenti di sapere che le “prove tecniche” per il teletrasporto stanno dando risultati molto interessanti.
Di recente un gruppo di scienziati tedeschi del Max Planck Institute e dell’Università di Monaco è riuscito ad effettuare un teletrasporto quantistico coprendo una distanza di 20 metri. Attenzione, però, a non correre troppo con la fantasia: il fenomeno è un tantino diverso da quello che abbiamo ammirato nel film perché per ora ad essere trasportati sono solo informazioni quantistiche (come lo spin o la polarizzazione) e proprietà fisiche dei fotoni che costituiscono la luce. Affinché questo trasferimento istantaneo di informazioni possa verificarsi è necessario creare un collegamento tra le particelle in questione, quello che i fisici chiamano entanglement (e che in italiano possiamo tradurre con “intreccio”). Per la prima volta l’equipe tedesca è riuscita nell’impresa di generare l’entanglement tra due atomi di rubidio-87 a una distanza record, evitando di perdere informazione lungo il tragitto e conquistando così la pubblicazione sulla nota rivista Science.
Due particelle entangled si comportano come un tutt’uno, come spiega anche il fisico austriaco Anton Zeilinger nel suo libro “La danza dei fotoni, da Einstein al teletrasporto quantistico”. Immaginate che le due particelle in questione siano localizzate in due laboratori distanti e che due scienziati nello stesso momento ne misurino lo spin, (ovvero la grandezza quantistica che definisce la rotazione): essendo le due particelle correlate, una volta misurato lo spin di una, l’altra viene istantaneamente influenzata e pertanto troveremo due valori a loro volta correlati. A essere “teletrasportata” è quindi questa proprietà della particella; nessun trasporto di materia ma “solo” una comunicazione istantanea tra particelle.
I risultati ottenuti sono un passo avanti senza precedenti verso la creazione di computer quantici sicuri e veloci. Siccome questi processori utilizzano per l’elaborazione dei dati, i fenomenici tipici della quantistica come la sovrapposizione degli effetti, la quantità di dati, quindi, non viene più misurata in bit (0-1) ma si introduce una nuova unità di misura, il qubit, che può assumere il valore di 0, 1 o la sovrapposizione di entrambi. Sfruttando il parallelismo quantistico diventano così possibili algoritmi efficienti per problemi che con algoritmi classici non possono essere risolti.
Lo so, lo so, tutto questo sembra non aver nulla a che vedere con l’idea cinematografica del teletrasporto ma teoricamente il principio del trasferimento istantaneo potrebbe essere applicato anche per riprodurre una persona. C’è da chiedersi, però, quante informazioni sarebbero necessarie affinché questo accada. La risposta è… decisamente troppe! I calcoli non sono affatto incoraggianti; ogni persona infatti è costituita in media da 10 alla 28 atomi e ognuno di questi per poter essere descritto richiederebbe almeno un centinaio di bit per un totale di 10 alla 30 bit da rilevare e riprodurre. Per poter elaborare una mole tale di informazioni sarebbe necessario un bel po’ di tempo; pensate che anche il più potente apparecchio di cui al momento disponiamo impiegherebbe un lasso di tempo 100 volte maggiore di quello trascorso dal big bang ad oggi.
Insomma nulla di fatto, la nostra generazione sarà probabilmente quella dei super computer quantistici ma quanto al teletrasporto non c’è speranza, vi suggerisco di rinnovare l’abbonamento di Trenitalia almeno per i prossimi 100 anni.