Al Piccolo Teatro Strehler fino al 12 novembre è in scena “Tre modi per non morire- Baudelaire, Dante, i Greci”: un monologo di 90 minuti magistralmente interpretato da Toni Servillo e scritto da Giuseppe Montesano.
Questa premessa (location, titolo, attore e autore) da sola basterebbe a recensire lo spettacolo: promette, infatti, l’eccellenza da ogni punto di vista. E la mantiene.
Varchi la soglia di uno dei teatri più prestigiosi di Milano, percorri l’elegante scalinata verso la platea, prendi posto in una sala gremita di gente di ogni età e trovi il palco con un allestimento minimal, perché la vera protagonista sarà la parola. O meglio le parole, nude e crude, sferzanti e quasi crudeli di Montesano che trova in Servillo il suo perfetto messaggero.
Nel suo testo, che potremmo definire “da intellettuale puro”, Giuseppe Montesano tesse una ragnatela di citazioni, riferimenti e intersecazioni letterarie, semantiche e temporali tra i capisaldi della matrice culturale occidentale.
Ci porta prima in Francia, nella scandalosa e rivoluzionaria vita di Charles Baudelaire, il vate che nei suoi Fiori del Male ha già previsto che solo la bellezza e la rivoluzione potrà salvare noi disgraziati “hollow men” (citando T.S. Elliot) che sono caduti vittima delle più ineluttabili malattie secolari: la noia e l’apatia.
In questa fase l’interpretazione incalzante e convulsiva di Servillo, sembra quasi vomitarci addosso tutto il livore del poeta maledetto, incompreso, diseredato: una Cassandra che sferza e ammonisce i suoi nemici dell’epoca e al contempo il pubblico stesso, provocandolo con irriverenza, quasi con presunzione.
Ci si sente un po’ oltraggiati, blandamente offesi, ma è il solo modo per irretire la nostra attenzione e iniziare a scuotere le coscienze.
La seconda parte è, invece, dedicata al Sommo Poeta: qui l’oratoria di Servillo si fa più solenne, più cadenzata, adattandosi ai temi a noi più cari della Commedia dantesca: l’ignavia, la conoscenza, l’amore carnale e la contemplazione del divino.
Gli ignavi, Ulisse, Paolo e Francesca, Beatrice, sono i simboli delle scelte più coraggiose di Dante: disprezzare chi non prende posizione, ammirare chi segue la conoscenza, provare compassione per chi è mosso dall’eros e scegliere addirittura una donna mortale per accompagnarlo nel paradiso a incontrare Dio.
Abbandonati i gironi infernali e le sfere celesti, Servillo cambia ancora registro diventando più informale, più spigliato, più “empatico” con il pubblico quando parla dei Greci, coloro che ci hanno letteralmente inventato, come dice lui stesso.
Quest’ultima parte si potrebbe assimilare al momento “farsa” che è citato nello stesso monologo: dopo due tragedie i Greci a teatro assistevano ad una farsa prima di tornare a casa, per “alleggerire” l’elaborazione del contenuto delle opere che avevano assistito subito prima.
L’impressione è che l’intero spettacolo ricalchi questa struttura: prima l’ammonizione, poi l’incitamento, infine la lezione finale.
Il fil rouge di tutte e tre le fasi è lo stesso: siamo come nel mito della caverna di Platone, miserabili uomini inconsapevolmente incatenati e ipnotizzati dalle ombre che crediamo siano tutto il mondo (che conta). Quello che c’è di vero, di essenziale, di vivo è lì fuori, a un passo da noi, ma i governi, i social media, le grandi industrie ci impediscono di vederlo manipolandoci, omologandoci e appiattendoci con quelle stesse ombre di cui non riusciamo più a fare a meno.
È in questo senso che “Tre modi per non morire” è una chiamata alle armi: come una sorta di amara epiphany joyciana ci incoraggia a riprenderci la libertà, a spezzare le catene che limitano la nostra vita, la nostra immaginazione e la nostra capacità di amare.
Tre modi per non morire Baudelaire, Dante, i Greci
di Giuseppe Montesano
con Toni Servillo
luci Claudio De Pace
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa