Home ViaggiMondo A month in Australia – Vivere a Sidney

A month in Australia – Vivere a Sidney

di i-Cult

di Gabriella Di Leva

L’Australia è quel posto che tutti più o meno sanno dove sta, qualcuno ha una vaga idea di come sia, pochi hanno la fortuna di visitarlo. Rientro nell’ultima categoria. Avendo la possibilità di viaggiare, complici lunghe vacanze e una famiglia australiana (parenti alla lontana) che ha subito mostrato piacere ad ospitarmi dopo solo un messaggio su facebook, due settimane prima di partire, per telefono, ho fatto il biglietto per Sydney: andata e ritorno, 26 giorni.

Lo so, la prima domanda che vi viene in mente è: sei partita da sola?

Si, sono andata da sola.

Ma trovo che il loro modo di dire “by myself”, esprima meglio il mio viaggio in Australia.

Ho fatto affidamento solo su me stessa, ma non mi sono mai sentita sola, e lo sono stata fisicamente poche volte. Non avrei mai pensato di conoscere cosi tanta gente come è stato. E per conoscere intendo conoscere veramente, per modi di pensare, storia, sogni e quant’altro. Forse perché a stare lontani da casa, si diventa un’unica grande famiglia, dove non conta l’età, la nazionalità, il sesso o la religione. Non lo so come, ma sono riuscita anche ad ascoltare e a parlare di me in un’altra lingua, con l’aiuto dei gesti a volte, e degli occhi soprattutto. Ho incontrato persone che mi parlavano come se mi conoscessero da sempre, che mi hanno dato consigli anche se non li chiedevo, che mi facevano piangere di commozione per la saggezza che mi stavano mostrando. E forse per qualcuno avrò fatto anche io lo stesso, chissà.    Di solito pianifico alla perfezione ogni mio viaggio, preparo mappe, segno i punti di interesse sulla cartina, scelgo cosa vedere, magari dove mangiare, cosa comprare, cerco di creare un itinerario da seguire pur lasciandomi tempo libero per l’avventura. Questa volta invece, sono partita senza una mappa, solo una guida preparata da me in un giorno con informazioni trovate su internet, riletta giusto una volta per accorciarla e organizzarla un po’. australiaPartenza da Roma, 6 ore di volo, 2 e mezza di scalo ad Abu Dhabi, 14 ore ancora ed eccomi arrivata a Sydney. Rimarrete delusi a sapere che non mi hanno fatto problemi alla dogana australiana, cosi come fanno vedere nel programma ‘Airport Security’ e che anzi le difficoltà ci sono state alla dogana italiana che pensava nascondessi droga in un ombretto, e a quella Araba che mi ha gentilmente disfatto il bagaglio a mano e messo le mani nella borsa. Qualche ora prima di arrivare in Australia sull’aereo danno un foglio da compilare, su cui inserire una marea di informazioni nonché eventualmente dichiarare cibo, oggetti di origine animale, valuta per valori superiori a 10000 dollari; alla dogana si consegna il foglio, il responsabile lo visiona, ti guarda e decide che direzione farti prendere. Non avendo nulla da dichiarare ed evidentemente avendo una faccia sufficientemente da brava ragazza, sono passata dalla porta dei fortunati. Il bagaglio ovviamente, girava sul nastro già da prima che io arrivassi.

La casa della famiglia che mi ha ospitata si trova a Bondi Beach, quartiere di Sydney con la spiaggia definita più bella d’Australia, paradiso dei surfisti di tutto il mondo. Basta poco a capire perché. Qui per mare si intende l’oceano, qui la spiaggia è larga venti metri, e lunga più o meno un chilometro. Per strada si cammina anche scalzi, si vede gente correre con la tavola da surf sotto il braccio, la muta sbottonata, capelli biondi al vento, e che lo dico a fare, senza scarpe. Ma c’è anche chi preferisce lo skate: più o meno una proporzione 1:1 tra pedoni e skater. Per loro al lungomare c’è anche uno spazio con vasca e playground per allenarsi, divertirsi e dare spettacolo a chi come me passa ore a guardarli. Non manca l’area palestra: attrezzi, sbarre, e pavimento morbido per far crescere i muscoli e fare acrobazie.

11 08Qui è tutto pubblico: la sabbia è pulitissima, bagni pubblici ovunque (con tanto di carta igienica, sapone, tovaglioli e asciugamani potente); colonnine per bere con fontana, fontana per cani e rubinetto per riempire la propria bottiglina (già perche qua la plastica è bandita, non esistono buste di plastica, bicchieri di plastica, e se hai una bottiglina di plastica la riutilizzi finchè non si rompe) ogni 20 metri; rotoli di sacchettini per i bisogni dei cani, aree picnic attrezzate. Ed è cosi anche nelle spiagge più piccole e isolate, dove anzi, si trovano anche i barbecue (gratuiti). Le piscine sono naturali e si riempiono di acqua di mare.

Per i primi giorni me ne sono stata con i miei parenti, che mi hanno portata in giro a vedere i posti più belli, quelli che non si trovano sulle guide, quelli che piacciono a me.

Sydney è una città enorme. Che affaccia a est sull’Oceano Pacifico e a Nord in una baia in cui si entra attraversando uno stretto racchiuso tra South Head e North Head. Sono stata ad entrambi i capi. E sono tra i miei posti preferiti della città. Qui la pace la tocchi con i piedi e la senti nelle orecchie. Il rumore dell’oceano, la brezza che soffia, l’odore di salsedine, del prato, la vista del mare che ti circonda, ti lascia senza parole. Davvero. Ed è difficile scattare foto che rendano l’idea di quello che si prova dal vivo.

Con loro nelle settimane successive sono stata anche alle Blue Mountain. Circa due ore di auto per arrivare al punto più turistico delle montagne, le “Three Sisters”, ovvero tre pezzi di roccia che sorgono da questa catena montuosa cosi lunga, che l’occhio confonde i colori e vede blu dov’è verde. Anche qui il posto più bello l’ho trovato dove non è segnato sulle mappe. Dove ho fatto la walk più avventurosa della mia vita, arrampicandomi su scale ripidissime mentre mi tenevo con le braccia sulle due corde ai lati, abbassandomi per passare sotto a una roccia e continuare il percorso, saltando tra un masso a un altro per non cadere nell’acqua che si raccoglie ai piedi di una cascata altissima. Per walk si intende una “camminata”, un percorso che può essere tra le montagne, nei parchi, o anche a costeggiare l’Oceano. Cosi come la Coastal Walk Bondi- Coogee che ho fatto ben due volte, ma che rifarei una volta al giorno per il resto della mia vita: 6 km, unisce Bondi e Coogee, passando per tante piccole baie che danno ciascuna sull’Oceano. Sul percorso oltre a panorami mozzafiato, anche un cimitero a picco sull’oceano, un campo d’allenamento di baseball, un club di golf (ci chiedevamo quante palline saranno finite in mare), una palestra superattrezzata all’aperto, aree picnic, diversi barbecue.

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A venti minuti di bus da Bondi sono in centro città. Le strutture più famose di Sydney sono l’Opera House e l’Harbour Bridge. La prima volta li ho visti di sera. Ero stanca, faceva freddo, e mi sono sentita subito meglio. Ben presto ho capito che non so come, da dove ti trovi ti trovi, guardando bene, qualcosina di loro comunque la vedi. L’Opera è maestosa, incredibile come riesca a cambiare faccia a seconda del punto di osservazione. Il Ponte è il più grande al mondo: poco da dire sulla felicità (si, felicità) che ho provato percorrendolo a piedi. Forse li avrete visti in televisione con i fuochi d’artificio, quando il 31 dicembre vogliono dimostrare che in Australia è già capodanno.

Il fuso orario esiste: 8 ore avanti per la precisione, qualche problemino con l’Italia, perché in pratica si hanno solo 8 ore a disposizione per comunicare, e spesso la mia buonanotte, corrisponde al buongiorno da casa. Ed anche questo è bello: essere distaccati, posare il telefono, ascoltare e godersi tutto quello che mi circonda qui e adesso. Fa freddo perché settembre è a cavallo tra inverno e primavera. Ho imparato ad indossare t-shirt e felpa di mattina, pur sapendo che a un certo punto della giornata avrei sentito caldo, e ho sempre portato con me nello zaino anche giubbino e sciarpa, per il freddo che incredibilmente e improvvisamente può arrivare, cosi come il vento che può essere cosi forte da spostarti. Meteo variabile. Sempre e comunque.

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Altra cosa immancabile nel mio zaino, la crema solare protettiva. Qui non si scherza. Siamo sotto il buco nell’ozono, e per l’inclinazione della terra, i raggi uv arrivano più diretti che in altri punti del pianeta. Cosi tutti, in qualsiasi stagione mettono la crema protettiva (dalla 30 a salire), e nonostante odi la sensazione sulla pelle, sto ogni tanto lì a cacciare il mio tubetto e a impastricciarmi faccia e braccia. I surfisti li riconosci subito, perché usano creme colorate, e sembrano i puffi.

In città sembra di stare sempre in qualche altra parte del mondo: in alcuni punti sembra Londra per lo stile vittoriano delle abitazioni o per lo stampo underground delle strade più alternative, in altre New York per i grattacieli e lo spirito business che si respira, in altre ancora sembra di essere in Oriente per gli odori, le scritte e le persone che vivono le strade.

Ci ho messo un po’ a capire qual è la vera anima di Sydney. All’inizio pensavo non l’avesse, che si fosse lasciata rubare dalle altre culture che l’hanno colonizzata negli anni. Poi invece ho capito. E’ stata votata dai turisti la città più ‘friendly’ del mondo. In questa parola si descrive secondo me, cos’è Sydney. Qui, quando entri in un negozio, devi spendere i primi cinque minuti a dialogare con i commessi, che ti chiedono per prima cosa come stai, poi magari del meteo, a volte delle tue origini, e alla fine ti dicono che sono lì se hai bisogno di aiuto. E non lo fanno per essere educati; lo fanno perché sono proprio cosi. Stessa cosa al bar. E se per caso ti stai scattando un selfie, qualcuno presto si avvicina perché vuole aiutarti e scattarti una foto. Se guardi la mappa, sbuca qualche passante a darti indicazioni. Nei primi giorni ho collaudato il mio inglese proprio imparando a rispondere a queste domande, e mi sono abituata all’idea di sembrare una francese. Sembra sempre che ci sia qualcuno o qualcosa ad aiutarti, che vuole solo che tu sia felice.
Chiedi a un australiano da dove viene e ti risponde che è nato in Australia ma “mia mamma/mio padre viene da Paese X del Mondo”; oppure che è qui da 10-20 anni; e quasi sicuramente ti dirà anche che ha vissuto in qualche altra parte del globo nel corso della sua vita.

02 Mi sono persa diverse volte. Per perdermi intendo avere idea più o meno di dove mi trovi, non riuscire o non volere capire bene in quale punto preciso della zona fossi, e soprattutto non sapere dove voler arrivare. E’ cosi che ho trovato i posti più belli. Quelli per cui ne è valsa la pena portare altre persone, che mi hanno anche ringraziata per aver condiviso le mie scoperte. Sono diventata una vera e propria guida per i miei amici in città.

Per quanto riguarda il cibo, ho mangiato cinese, giapponese, coreano, greco, thailandese, italiano, indiano. E non ho provato tutto. Una vera tradizione culinaria australiana credo non esista. La carne di canguro e di coccodrillo la considerano come noi consideriamo il fegato o la carne di cavallo, e non ho avuto modo di assaggiarla. Peccato, dovrò ritornare. Succhi di frutta tropicale quanti ne volete. Avocado ovunque, in qualunque modo. Mango come se ne piovesse. Il caffè purtroppo non esce buono neanche se lo facevo io, con moka e caffè italiano. Come si dice: “sarà l’acqua!”. La colazione la intendono salata, e bevono litri di thè al giorno. Mangiano come gli inglesi: colazione, lunch alle 12, cena abbondante alle 18. Si guida a sinistra, e il conducente siede a destra.

Il mezzo di trasporto pubblico più usato è il bus. Per gli orari una tragedia. L’appuntamento per uscire dopo cena è alle 20. Alle 22 a volte ci hanno cacciato dai bar. Difficile trovare qualcuno a mezzanotte per strada. Il fine settimana un po’ più lunga la giornata. Non so se in estate sarà lo stesso.

12 10 13In Australia quasi nessuno fuma. Un pacchetto di sigarette costa 40 dollari, e i negozianti li tengono chiusi a chiave in armadietti quasi blindati. E’ proibito fumare al chiuso, in parecchi posti pubblici all’aperto, entro un raggio di 4 metri dai locali commerciali. Credo passerebbe il vizio a parecchi italiani.

Gli spazi verdi non mancano. Sono riuscita a trovare perfino nel bel mezzo del centro finanziario un festival (leggi sagra) delle fattorie; cosi come c’è il Centennial Park, paragonabile al Central Park di New York.

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