Home TendenzeLifestyle Chi è Charlie? – Cronaca di un italiano nella Parigi del terrore
charlie

Chi è Charlie? – Cronaca di un italiano nella Parigi del terrore

di i-Cult

di Vincenzo Di Donato

Io sono stato Charlie. E con me, la scorsa domenica, lo erano tutte le persone che ho conosciuto qui a Parigi negli ultimi tre anni.

Gli scrosci di applausi che si propagavano come onde, risvegliavano, a intervalli costanti, la coscienza di una folla presente ma, al contempo, tramortita, confusa e spiazzata da quanto accaduto nei giorni precedenti. Non è passato che qualche giorno da quella domenica, ma difficilmente la dimenticherò.

Abitando a qualche centinaia di metri dalla Place de la Republique, punto d’inizio della manifestazione, quel mattino sono stati gli elicotteri che sorvolavano la zona e le sirene della polizia a svegliarmi. Non avevo dormito un granché, paventando possibili scenari apocalittici, poi non verificatisi.

Devo ammetterlo, avevo paura.

E, per quanto fosse plausibile come sensazione dopo le morti assurde di quei giorni, non potevo accettarlo. E’ per questo che a quella marcia io c’ero. Non considerando la dimostrazione di coraggio una ragione valida, ho riflettuto a fondo sui reali motivi che mi hanno spinto a partecipare al corteo più grande che si sia mai avuto nella storia della Francia, ma non sono riuscito a trovarne.

Sarebbe comodo convincersi di essere scesi in piazza per difendere la libertà d’espressione e condannare il terrorismo ma, nonostante io condivida a pieno il lottare per questi obbiettivi e lo faccia nel mio piccolo, in mezzo a quei due milioni di persone non mi sentivo trasportato da un comune sentire. Forse per la prima volta da quando ho una coscienza sociale ho visto tanta unità, ma non me ne sono sentito parte. Mi ha emozionato, ma non mi ha coinvolto. Quindi mi sono sorti chiari dubbi morali sulla mia sensibilità rispetto agli eventi, dubbi che ho risolto con il confronto con altri italiani e non.
manifestazione parigiAllora, finalmente, ho capito.

Ho capito che i francesi non hanno neanche pensato se fosse pericoloso o meno partecipare a un corteo con cellule terroristiche attivate in tutto il paese, lo hanno fatto e basta, perché la violenza non può battere la libertà.

Ho capito che noi italiani abbiamo visto calpestata la nostra libertà d’espressione in così tante occasioni che tacitamente acconsentiamo a non averne.

Ho capito che abbiamo più paura che rabbia, perché la rabbia si è trasformata in impotenza.

Poi, mi sono sentito uno stronzo perché il capo di stato della Nigeria avanzava in prima fila con lo sguardo basso. Ed intanto centinaia di persone venivano fatte a pezzi con il macete nel suo paese in quei giorni.

Ho iniziato a considerarmi inappropriato nel marciare con Netanyahu, e colpevole di essermi sentito in pericolo durante quelle tre giornate di terrore nella città forse più protetta del mondo.

Ed intanto pensavo a Gaza.

So che sono pensieri che rasentano chiaramente l’ipocrisia e il qualunquismo.

Per questo mi domando se ipocrita non sia stato l’intero occidente a mettere le palle sulla bilancia per riequilibrare il peso di 20 cadaveri ed ancora mi chiedo se non sia stato pretenzioso nel credere che due milioni di grida stessero rappresentando, in un momento, il mondo intero.

Non conosco la risposta, so solo che quel giorno è servito perché qui ci si smetta di farsi domande e, anche se le candele restano accese a Place de la republique in onore di Chiarlie hebdo e “Je suis Charlie” sia diventato un motto presente ad ogni angolo di strada, non si é ancora capito Charlie chi sia.

Fonte immagini: gazzetta.it

You may also like

Leave a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.