Per quanto in evoluzione e alla continua ricerca di un bello maestoso, il fulcro e l’essenza che rende uniche alcune città lo trovi nell’anima e nella loro intimità, quasi a renderle più affascinanti se vissute come paesini intrisi di cultura locale piuttosto che come città all’avanguardia quali sono.
Venezia è una città con l’aria da paese, dove il duro veneto con fare bruto e dalla dubbia cortesia conosce strade e contrade come le sue tasche e pur di rendere servigio alla sua laguna ti indica borbottando il percorso giusto alla tua indicazione; poco sobria nelle numerose opere che la custodiscono cosi come nei calici che si riempiono di continuo, fuori dagli schemi e mai banale, è una labirintica meta di pellegrinaggio turistico dove il flusso dei canali e il fiume continuo di gente si intrecciano repentinamente fino ad incontrarsi nella sublime Piazza San Marco.
Arte e sculture, opere e storia sono il canto delle sirene da richiamo per le numerose presenze quotidiane che affollano musei, teatri e gondole “more expensive” tranne che per cinesi dalle canon giganti e americani e russi legati da una guerra “umida” più che fredda (in ogni caso se proprio non volete perdervi l’esperienza in gondola, potete almeno risparmiarvi lunghe file e prenotare online).
Il turista nostrano, me compreso, analizzati i principali percorsi e fotografato un congruo materiale da “sezionare” e offrire al prossimo sottoforma di “instagram”, continua il resto della visita alla costante ricerca culinaria e vinicola dei posticini che ancora riescono a scampare all’invasione dei “tripad-visitors” incalliti.
Il bacaro, a mio modesto e trentennale parere, è l’apoteosi alimentare nel tempo che intercorre tra i pasti principali: è tempio di bevute in stile goldoniano, sede di aperitivi che accompagnano pranzi, cene e, perché no, per alcuni anche colazioni.
Lele, ad esempio, dalle otto è già aperto ed i suoi bicchieri che fanno invidia alla credenza di mia nonna, sono un continuo entrare e uscire dal lavabo nel retrobottega; meno di un euro per un rosso o un bianco da accompagnare con paninetti farciti di salumi formaggi e speziate varie. In uno scenario ridotto delle colonne di San Lorenzo milanese, il piccolo bacaro riesce a contenere una decina di persone circa all’interno legate a una serpentina esterna in attesa, che è più un’anaconda per le lunghezza. La zona in questione è facilmente raggiungibile a piedi dalla stazione, se vedete una piccola bottega venerata come una storica stalla di Betlemme non potete sbagliarvi, è il bacaro da Lele.
Se, invece, nelle concitanti fasi di visita della storica Piazza San Marco, quando entrare in chiesa sembra una dura impresa ed i colombi più in forma ti svolazzano tra i capelli mentre quelli gonfi di riso ti camminano tra le caviglie, la pausa giusta si chiama Bacaro Risorto; non conosco la scelta del naming ma credo che abbia molto a che fare con lo stato che si prova a accomodarsi al suo interno, dopo la lunga e devastante passeggiata turistica della storica piazza. I pochi posti a sedere fanno si che sia la sorte a decidere se berrai seduto comodo su un bancone in legno o dovrai consumare in piedi il tuo spritz accompagnato da cicheti vari, pizzette e paninetti ed uno spettacolare baccalà fritto. Il riciclo di clienti è continuo,non passerai più di una mezz’oretta, ma sarà una benedetta ricarica per riprendere il tour veneziano.
Incuriosito assaj da questa simpatica tendenza veneziana, sono andato alla ricerca del bacaro-madre, la cantina menzionata dal New York Times, che oltre ad una serie innumerevoli di vini e liquori, abbina circa sessanta cicheti diversi e ricchi di specialità del posto ad uno spritz economico e ben fatto servito in un calice in vetro minuto alla vista ma abbastanza capiente.
Nel quartiere Dorsoduro il tempo sembra non essere passato, e tra un turista e l’altro intenti a fotografare la facciata vintage della “Cantina dei servi”, oggi conosciuto come “Al bottegon”, a presidio vi è lo zoccolo duro del circolo anziani che si dà appuntamento ad ogni ora per un calice di vino tra operai o per un aperitivo tra signorotti del posto.
Merita una menzione particolare una curiosa attività del centro, osteria nel nome ma un vero e proprio centro di aggregazione giovanile , sede di letture e bevute, dama, scacchi e bottiglie di vino, punto di ritrovo dei veneziani intorno ai trenta , universitari ed erasmus e qualche intellettuale barba lunga e sigaro. Buono spritz e discreto vino della casa un euro al bicchiere, l’Osteria da Filo offre anche una curiosa cucina con panini e crostini vari e polpettine di ogni genere, in un’atmosfera vintage e abbastanza ampia per le misure standard veneziane.
Insomma mentore di una vecchia gita scolastica veneziana focalizzata per lo più su arte e cultura, ho dedicato questi pochi giorni, come palesemente si evince, alla ricerca del gusto e dei sapori locali ed è stato davvero molto soddisfacente per il mio palato, un po’ meno per le mia pancia.
Mischiati tra le onde di turisti, i veneziani pare si conoscano tutti come in un paesino che ha aperto le porte al mondo mostrando le sue bellezze durature nel tempo e le sue storie leggendarie, custodite anche tra i banconi dei bacari.
Pasquale Diana