“Andrew e Zelda usciranno insieme per otto mesi, 2 settimane, 6 giorni e un’ora. Questo show televisivo è il resoconto completo della loro relazione”. O almeno era inizialmente questo, per gli ideatori della sit-com A to Z, l’intento che, durante la sigla di ogni episodio, veniva proclamato da Katey Sagal, voce narrante della storia.
Invece i due giovani innamorati hanno dovuto soccombere non alle classiche difficoltà che si incontrano quando si intraprende una storia d’amore tra adulti, ma alle inflessibili leggi dell’audience (così dure da far sembrare quelle del far west il regolamento di un parco giochi), che ne hanno decretato la cancellazione anticipata. In questa stagione che avrebbe dovuto essere di 26 episodi, il titolo di ognuno di essi sarebbe dovuto corrispondere ad una lettera dell’alfabeto inglese, arrivando a comporre una sorta di alfabeto delle relazioni sentimentali. E invece i numeri del entertainment business hanno ben poca considerazione per le parole d’amore e, dopo appena 13 episosidi, ci si è dovuti fermare alla “m” di “meant to be”.
Ma chi sono e a cosa erano “destinati ad essere” i protagonisti di A to Z?
Andrew Lofland lavora come assistant marketing director per la Wallflower, servizio online di incontri per single. Zelda Vasco è una motivata e determinata avvocatessa in un importante studio associato della città.
Lui è interpretato da Ben Feldman, tipica faccia da attore di telefilm, guanciotte rosa alla Heidi e iride azzurra che buca lo schermo.
Lei è Cristin Milioti, con i suoi enormi occhioni languidi e l’espressività di un cartone animato è entrata nel cuore dei milioni di appassionati di How I Met Your Mother interpretando il ruolo dell’adorabile e fatidica Miss Mosby.
Lui crede nel destino, nell’anima gemella, probabilmente negli unicorni rosa, nei fantasmi e nei folletti verdi.
Lei crede che nella vita si possano trovare prove che dimostrano qualsiasi cosa (e quindi anche l’esatto opposto).
Lui ci viene presentato come l’ultimo esponente di una schiera di neo-romantici pop che negli anni, nonostante l’egemonia di bad boys e anime tormentate, sono riusciti a ritagliarsi uno spazio sul piccolo e grande schermo: la sua caratterizzazione sembra un pot-pourri che miscela l’aria sognatore di J.D., i comportamenti melensi di Ted Mosby e l’aria stralunata di Tom Hansen ( protagonista della pellicola indie 500 giorni insieme).
Lei, d’altro canto, sembra un incrocio tra una versione meno idealizzata di Tracy McConnel e le insicurezze nevrasteniche avvolte in tailleur di Ally Mcbeal.
La serie è incentrata, dunque, sulla loro relazione amorosa che si dipana tra alti e bassi, tra affinità e superabili idiosincrasie, tra divertenti incomprensioni e glicemici picchi di romanticismo. Intorno ai protagonisti ruotano le vicende di bizzarri colleghi e soffocanti amici, grazie ai quali la componente romance con giusto equilibrio si condisce di gag, battute e delle situazioni improbabili tipiche delle comedy. Non un plot originalissimo, ad onor del vero, ma ha il pregio di esplorare con una struttura e un linguaggio classici nuovi territori della narrazione seriale, retti da un cast di attori che basta guardarli per ridere (su tutti vincono il miglior amico Stu e “Big Bird” Lydia).
Vale dunque la pena recuperare A to Z?
Di certo non è uno di quei telefilm imprescindibili come le grandi serie di qualità targate Hbo e Netflix. Ma se anche voi avete bisogno di intervallare gli scandali e gli intrighi di Frank Underwood e i giochi di troni di Stark, Lannister e tutte le altre casate di Westeros con qualcosa di meno complesso, meno sofisticato e soprattutto meno spietato; se tra le scalate al potere nel mercato del narcotraffico di Heinseberg e le discese nei bassifondi della società di Piper Chapman avete bisogno di una sosta sul rassicurante e pianeggiante terreno della routine quotidiana e necessitate di melliflui buoni sentimenti, allora le vicende di Andrew e Zelda possono essere una giusta pausa caramellata da tutto il sudiciume e l’amaro della vita che sembra diventato il piatto forte di tanti telefilm. Come se non bastasse quello reale.
La stagione 2014-2015 non è stata molto fortunata per le sit-com, colpite da una consistente emorragia di ascolti e conseguente eliminazione dai palinsesti (la stessa triste sorte di A to Z è toccata a Selfie, Bad Judge e Manhattan Love Story). In attesa di una sit-com “generazionale” che sia in grado rappresentare questo secondo decennio del terzo millennio come Friends (andata in onda dal 1994 al 2004) fece per gli anni Novanta e How I Met Your Mother (in onda dal 2005 al 2014) ha fatto per il primo decennio del 2000, A to Z può essere un valido diversivo, un momentaneo palliativo.
In un’epoca in cui tanto l’uso della sintassi è minato dalla scrittura sgrammaticata di chat e smartphone, quanto l’educazione sentimentale è insidiata dai tronisti di Maria De Filippi, il tentativo di redigere un vademecum nomenclatore dei rapporti affettivi va quantomeno apprezzato. Peccato che si sia voluto calcare un po’ troppo la mano con la banalità dell’unione voluta dal destino, vista la sorte che è poi toccata alla serie. Purtroppo – Zelda lo sa bene – il destino è un’arma a doppio taglio.