In tema col periodo natalizio, che in questi giorni sta inebriando i nostri animi frenetici in cerca del regalo giusto con cui sorprendere amici e parenti, esattamente un anno fa scrissi un articolo nel quale vi parlavo del presepe e della simbologia e personaggi che lo caratterizzano. Vi ripropongo con immenso piacere anche quest’anno più o meno lo stesso tema, perché a me “‘o Presepe”, per dirla alla Eduardo De Filippo, piace tanto.
Stavolta, però, cerchiamo di capire la storia e la sua evoluzione nel corso del tempo.
Il presepe non nasce a Napoli, ma nella bella Partenope ci arriva portato dall’ordine francescano, dopo che San Francesco d’Assisi nel 1223 riprodusse la prima natività: la rappresentazione della nascita di Gesù, la condizione di assoluta povertà in cui il Salvatore è nato, così come viene descritto dai Vangeli.
Nonostante il presepe non si sia diffuso solo ed esclusivamente a Napoli, è qui che, però, ha trovato terreno fertile per svilupparsi.
Quindi non è facile ed è errato decidere chi abbia cominciato per primo e quale tradizione sia la più antica; di sicuro quella napoletana è una delle tante che, soprattutto grazie alla dominazione borbonica, si è diffuso in tutto il mondo. Nel corso dei secoli, da quel 1223 in cui San Francesco ebbe l’idea, il presepe si è trasformato da espressione puramente religiosa a forma d’arte complessa, studiata e approfondita nelle botteghe di maestri.
Una delle differenze tra il presepe napoletano e le altre tradizioni è il materiale e la fattura dei pastori, dato che la tradizione napoletana vuole i pastori in terracotta con abiti intessuti e cuciti a parte, solitamente con sete pregiate di San Leucio, cosa che invece non accade nella tradizione bolognese, ad esempio, che vuole i personaggi come un unico blocco.
Inoltre, nel corso del tempo, il presepe napoletano si è arricchito di personaggi e scene che lo rendono di chiara manifattura e tradizione napoletana.
Infatti, è la tradizione partenopea che vuole il pastore che dorme, Benino o Benito, cioè quello che riceve in sogno l’Annunciazione della nascita di Gesù e, secondo la credenza popolare, risvegliarlo comporterebbe far sparire il presepe perché è lui che lo rende vero grazie al suo sogno.
Poi c’è il monaco, punto di contatto tra il sacro e il profano; la zingara, elemento pagano che entra a far parte della natività cristiana; Stefania, vergine come la Madonna; i re magi e i venditori, che rappresentano ciascuno i vari mesi dell’anno.
I maestri artigianali delle vie del presepe a Napoli, da San Gregorio Armeno a San Biagio dei Librai, hanno, però, finito per fare della tradizione napoletana anche uno strumento di satira, rappresentando anche i personaggi più controversi e criticati dalla società. E così quelle che fino a qualche anno prima erano rappresentazioni dettate dal rispetto o dallo sfottò sono diventate occasioni commerciali.
Ma la passione per il presepe è un’altra cosa, soprattutto realizzato per il suo aspetto religioso che con il consumismo ha davvero poco a che fare.
Per Eduardo De Filippo in Natale in Casa Cupiello era un dovere fare il presepe. La coppia formata dal suo personaggio, Luca Cupiello e suo figlio Nennillo, delineava una vera e propria contrapposizione: Luca appassionato al presepe e il figlio no. È questa la rappresentazione di una rottura tra il passato e il presente, tra tradizione e disprezzo per essa.
I tempi sono cambiati e i commercianti e i maestri del presepe trascendono spesso nel consumismo e nella banalità riempiendo le vie dei presepi di riproduzioni seriali in plastica o resina. Nessuno si ricorda più di Benito, del vinaio o del monaco, ma si preferisce di più un Renzi gigante o una Belen provocante, quasi come se San Gregorio Armeno fosse diventato un museo di Madame Tussauds in cui i personaggi anziché essere fatti di cera, sono fatti di terracotta.
Spero tanto che tutti voi a casa abbiate un presepe, anche piccolo e simbolico; e soprattutto spero che possiate trovare e vedere in esso un po’ della magia del Natale.
Auguri a tutti!